8 maggio 1898: primo campionato italiano di calcio …uno sport che non è né liberale né socialista, ma semplicemente cattolico!

da Il Catechismo del Pallone di Corrado Gnerre (edizioni Mimep-Docete)

L’8 maggio 1898, a Torino, in un’unica giornata si celebra il primo campionato italiano di calcio. Vince il Genoa in finale con l’Internazionale di Torino.

Pochi sanno che il successo di questo sport si deve anche al fatto che esso è metafora di una verità “politica”, ovvero che non è né liberalesocialista, ma semplicemente cattolico.

Vediamo perché.

Pelé è stato quello che è stato, Maradona è stato quello che è stato, Messi e Cristiano Ronaldo sono quello sono …ma provate ad immaginare il Pizzighettone (con tutto il rispetto per il Pizzighettone) vedersi completamente trasformato perché nelle sua fila si aggiunga uno dei famosi di cui sopra. Certo, la squadra potrebbe segnare qualche gol in più, vincere qualche partita in più, ma non trasformarsi completamente.

Provate a fare la stessa cosa in una modesta squadra di basket e aggiungeteci un asso della NBA, il suo apporto sarà più efficace. Per un motivo molto semplice: non solo nel basket il rapporto in questo caso sarebbe di 1 a 5 e non di 1 a 11 come nel calcio, ma anche perché l’asso del basket potrebbe benissimo permettersi di tirare un po’ da tutte le parti e realizzare molti canestri. Provatelo a fare con il calcio e vedete se è possibile.

Abbiamo citato Maradona. Quando questi arrivò a Napoli era il 1985: cambiò molto ma non tutto. Per vincere il primo scudetto i partenopei dovettero attendere il campionato 1986-87 e il secondo nel campionato 1989-90. L’asso argentino fu sì determinante (non si può negare!), ma perché andò ad inserirsi in squadre con questi giocatori:

1986-87

1.Garella

2.Bruscolotti

3.Ferrara

4.Bagni

5.Ferrario

6.Renica

7.Romano

8.De Napoli

9.Giordano

10.Maradona

11.Carnevale

1989-90:

1.Giuliani

2.Francini

3.Ferrara

4.Crippa

5.Alemao

6.Renica

7.Mauro

8.De Napoli

9.Careca

10.Maradona

11.Zola

… e scusate se è poco.

Dunque, Maradona sì, ma attorniato da gente che con la sfera ci sapeva fare. Se lui (Maradona) fosse stato inserito in una squadra scarsa, avrebbe potuto fare ben poco. Gli avversari gli avrebbero piazzato tre o quattro giocatori intorno e … buonanotte ai suonatori. Sì, qualche punizione ogni tanto, qualche tiro da fuori aria ogni tanto, ma nulla di più.

L’asso nel calcio è determinante se è inserito in una squadra che è già forte, per cui gli avversari non possono permettersi di utilizzare un buon numero di difensori per bloccarlo, altrimenti gli altri (che mezze cartucce non sono), lasciati liberi, andrebbero a segnare così come tranquillamente si va a prendere il caffè a bar.

Per evitare che questo ragionamento possa sembrare una forzatura, precisiamo che un po’ in tutti gli sport di squadra vale questo principio, cioè che un asso non cambia facilmente le cose, ma è indubbio che nel calcio ciò si manifesti con maggiore evidenza.

Un altro esempio lo possiamo trarre dagli anni ‘70/’80. Paolo Rossi (detto Pablito) esplose talmente nel campionato 1977-78 che fece arrivare il Lanerossi Vicenza niente di meno che al secondo posto in serie A. Rossi fu capocannoniere con 24 gol. Determinante sì, ma insieme con lui girò tutta la squadra e in essa vi fu una seconda “esplosione”, quella di uno sconosciuto per giunta non giovanissimo Roberto Filippi. Una sorta di trottola capace di stare in tutte le parti del campo; di statura medio-bassa, per la capacità di correre 90 minuti su 90 doveva avere dei polmoni grandi quanto tutta la sua modesta corporatura. In quell’anno fu tra i migliori centrocampisti. Tanto è vero che l’anno successivo fece un salto di qualità andando a giocare nel Napoli che allora figurava come una squadra che tentava costantemente (anche se non ci riusciva) la conquista dello scudetto. In quel Lanerossi giocarono ad altissimi livelli anche gente come Cerilli (un mancino che giostrava a destra e con un tocco di palla tutt’altro che trascurabile); come Guidetti (mediano di spinta con il gusto del gol); come Marangon (terzino fluidificante che era un vero e proprio stantuffo inarrestabile sulla fascia sinistra), anche lui l’anno dopo al Napoli, team fece spesa all’ingrosso in quel della città veneta. Gianni Brera parlando di quel Lanerossi disse: Non avrei mai creduto che una squadra di provincia potesse giocare il calcio come giocò il Vicenza.

Ma quando ormai il Lanerossi Vicenza non era più quel Lanerossi Vicenza, le cose cambiarono. Si fece il sacrificio economico di conservare Pablito … e fu il naufragio. Appena l’anno successivo il Lanerossi retrocesse in serie B, malgrado il centravanti che aveva meravigliato il mondo intero nei Mondiali del 1978. Si potrebbe dire: ma evidentemente Paolo Rossi non giocò da Paolo Rossi. No: il contrario. Paolo Rossi giocò da Paolo Rossi, segnò ben 15 gol (non pochi in un campionato a 16 squadre), ma i bianco-rossi retrocessero ugualmente facendo appena 24 punti.

Vediamo di fare qualche considerazione su ciò che abbiamo detto. Aristotele (che non era cattolico, ma il cui pensiero è stato fatto proprio dalla filosofia naturale e cristiana, vedi il pensiero di San Tommaso d’Aquino) a proposito del discorso politico dice che l’uomo è un essere naturalmente sociale. Egli non dice né sostanzialmente sociale accidentalmente sociale. Vuole intendere che l’uomo non è un membro della società che deve disperdersi in essa e che deve trovare solo nella società la sua unica ragion d’esistere (sostanzialmente sociale) né che può totalmente fare a meno della società (accidentalmente sociale), per cui se la società c’è o non c’è sarebbe la stessa cosa. Con l’espressione naturalmente sociale Aristotele condanna –grazie al suo buon senso e al realismo della sua filosofia- tanto l’errore collettivista (l’uomo è in funzione della collettività e deve annullarsi in essa) quanto l’errore individualista (l’uomo è fondamentalmente un’ “isola” e può fare totalmente a meno degli altri). Insomma, Aristotele condannò ante-litteram tanto la concezione comunista quanto quella liberale.

La dottrina sociale cattolica riprende questa affermazione di Aristotele; e non perché lo Stagirita (così viene anche chiamato questo grande filosofo) sia simpatico e perché ci si è trovati a sceglierlo per cui è giusto insistere. No. Perché il suo pensiero è basato sul realismo, ovvero sulla convinzione che la corretta conoscenza si debba fondare su un adeguamento del pensiero alla realtà. Il Cattolicesimo è per la contemplazione, perché solo lo stupirsi dinanzi al reale conduce all’individuazione della verità oggettiva. Altrimenti, se il pensiero potesse conoscere facendo a meno dell’osservazione dell’oggetto, vi sarebbe soltanto una conoscenza di tipo soggettivo (il soggettivismo per l’appunto) per cui ognuno potrebbe dire la sua e ognuno potrebbe comportarsi come gli pare.

Dicevamo che la dottrina sociale cattolica riprende la convinzione aristotelica, perché questo pensiero è ancorato al buon senso realista, e afferma che bisogna rifuggire tanto la soluzione socialista quanto quella liberale. Bisogna rifiutare il socialismo attraverso il cosiddetto principio di sussidiarietà, che vuol dire che il singolo o le realtà che precedono lo Stato (famiglia, comuni, piccole società) devono essere lasciati liberi d’intraprendere e devono essere aiutati se non avessero la possibilità di far da soli. Bisogna rifiutare il liberalismo attraverso il cosiddetto principio di solidarietà: lo Stato deve intervenire affinché ognuno abbia il minimo indispensabile.

Il calcio che c’entra in tutto questo? Il calcio –come abbiamo visto- è lo sport in cui in maniera più chiara è manifesto il fatto che un solo campione, fosse anche il campione di tutti i campioni, non può risolvere tutto. Certamente il campione dà alla squadra la possibilità di fare il salto di qualità, in questo senso –volendo riprendere la terminologia di Aristotele- egli non è sostanzialmente nella sua squadra smarrendosi ed annullandosi in essa. Ugualmente il campione non è la sola ed unica soluzione, e in questo – sempre utilizzando la terminologia di Aristotele – non è accidentalmente nella sua compagine per cui ne potrebbe anche fare a meno.

Insomma, in questo, il calcio non è né socialistaliberale … è semplicemente cattolico!

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

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