A che punto siamo con la guerra interna all’Islam?

Selezionato da occhidellaguerra.it – Autore: Eugenia Fiore

Se la diplomazia fosse una partita di scacchi, al momento si starebbero sfidando Iran e Arabia Saudita. Un gioco teso, silenzioso. Lento. Ma mai così accanito come negli ultimi mesi.

L’Arabia Saudita, campionessa del wahhabismo, rigorosa dottrina dell’Islam sunnita. L’Iran, la più grande forza sciita nella regione. Al fianco di Riad, gli Usa: storici alleati. Al fianco di Teheran: la Russia, amico ormai fidato. 

Tra i due Paesi le relazioni si sono ufficialmente mozzate nel 2016 per le loro contrastanti sfere di influenza in LibanoIraqSiria e Yemen.

Dal 4 novembre, la tensione tra i due Paesi è stata ravvivata dalle dimissioni, poi ritirate, del primo ministro libanese Saad Hariri. In questa occasione Riad ha accusato l’Iran di interferire nel Paese dei Cedri attraverso Hezbollah, movimento sciita sostenuto da Teheran. Ma la tensione è salita ancora quando il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha accusato l’Iran di aver aggredito il suo Paese attraverso un missile lanciato dai ribelli Houthi nello Yemen. Teheran, negando ogni coinvolgimento, ha invitato i sauditi a non giocare con il fuoco e a diffidare del “potere” iraniano.

Al di là l’antagonismo atavico tra persiani e arabi, la concorrenza tra Riad e Teheran è stata esacerbata dalla rivoluzione iraniana del 1979 e dall’avvento della Repubblica islamica, che ha portato un messaggio rivoluzionario di emancipazione popolare e ferocemente anti-americano. La rivoluzione è stata percepita come una minaccia dall’Arabia Saudita, monarchia conservatrice alleata degli Stati Uniti.

Riad è stato uno dei principali finanziatori di Saddam Hussein durante la guerra tra Iraq e Iran (1980-1988). Con l’indebolimento dell’Iraq dopo la Guerra del Golfo (1991), Arabia e Iran diventano le due principali potenze regionali, e quindi la loro rivalità è inizialmente geostrategica. Riad vede la crescente influenza regionale dell’Iran come una minaccia alla propria sicurezza, con le guerre in Iraq e in Siria e il proseguimento del programma balistico iraniano. Ma per l’Iran, che si considera circondato dalle basi statunitensi e minacciato dagli arsenali costruiti dai suoi vicini, i missili che sviluppa sono puramente difensivi.

Ad accreditare ancora di più la tensione trai due Paesi è stato anche l’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. L’accentuata posizione anti-iraniana da parte degli Usa non ha fatto altro che buttare benzina sul fuoco nella penisola arabica. Trump ha impugnato la causa per il suo alleato saudita e contro l’Iran. Una spiccata attitudine in contrasto con quella dell’amministrazione Obama (2009-2017) segnata dalla firma dello storico accordo sul nucleare iraniano.

Il rischio di un’escalation sembra mitigato dalla paura di una guerra. La dolorosa esperienza della guerra con l’Iraq frena sicuramente l’Iran dal fare passi azzardati. L’Arabia Saudita, invece, è impantanata nello guerra nello Yemen, dove è stata ingaggiata dal marzo 2015 a capo di una coalizione militare per fermare l’avanzata dei ribelli Houthi.

In generale, poi, secondo Eurasia Group, una società di consulenza sui rischi politici, la retorica saudita non riflette necessariamente un interesse per la guerra. Ma l’argomento “nazionalista” contro l’Iran potrebbe essere manipolato dal principe ereditario, Mohammed Bin Salman, che sta attualmente scuotendo i codici nel regno ultra-conservatore per consolidare la sua posizione.

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