Appiattire le differenze tra Luteranesimo e Cattolicesimo non è solo di questi giorni. Qualcuno ricorda la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione?

Cari pellegrini, in questi giorni si parla molto di Riforma  e di Lutero. Lo si fa perché si avvicina la data del 31 ottobre, anniversario delle affissioni delle Tesi. Lo si fa anche per la dichiarazione di monsignor Galantino sulla Riforma come “evento dello Spirito”.

Noi però siamo tenuti all’onestà; in questo caso all’onestà intellettuale. Dunque dobbiamo dire le cose come stanno davvero e cioè che se oggi siamo arrivati al punto della statua di Lutero nella Sala Vaticana, della partecipazione del Papa alle celebrazioni per i 500 anni dalla Riforma, delle parole di monsignor Galantino… è perché già si era mosso molto in precedenza. Mosso -ovviamente- su questo versante. Questo non possiamo e non dobbiamo nascondercelo, altrimenti non siamo onesti.

A riguardo vi ricordiamo la cosiddetta Dichiarazione Congiunta che una commissione mista cattolico-luterana redasse e firmò nel 1999 sull’argomento della giustificazione.

Il risultato fu quello di dire che cattolici e protestanti su questo argomento direbbero le stesse cose, anche se con accentuazioni diverse.

In realtà tale documento era mosso solo dall’intento di favorire il dialogo ecumenico spinto da quel “pastoralismo” che (con effetti molto dannosi) tende a prendere le distanze da quei principi dottrinali che fanno da ostacolo ad un’eventuale riunificazione.

Prima di analizzare in pochi punti la Dichiarazione, facciamo mente locale in merito al concetto luterano di giustificazione e la sua differenza con quello cattolico.

Il Dizionario di Teologia Dogmatica di Piolanti, Parente e Garofalo così definisce la giustificazione: “Il passaggio fatto, sotto l’azione della grazia divina, dallo stato d’ingiustizia e avversione a Dio allo stato di giustizia, cioè di santità.”

La grande questione consiste nel peccato originale. Cosa veramente ha determinato questo peccato? Ha solo ferito l’uomo indebolendolo, oppure lo ha talmente rovinato da renderlo irrecuperabile?

La dottrina cattolica dice che l’uomo è stato sì ferito dal peccato originale, ha perso i doni cosiddetti preternaturali, patisce la concupiscenza, è inclinato più al male che al bene, ma la Grazia è capace di sanarlo totalmente. Il Concilio di Trento a riguardo è chiarissimo.

Il Protestantesimo, invece, parla di radicale e irrimediabile corruzione della natura umana e di perdita del libero arbitrio. E tutto il mondo protestante si muove nell’orbita di tale concezione pessimistica. Lutero scrisse un libro intitolato De servo arbitrio proprio per dimostrare che la libertà individuale sarebbe solo una menzogna. Calvino è sulla stessa linea e dice che “la natura dell’uomo è così perversa, che egli non può essere mosso, spinto, condotto se non al male. (…). Egli è soggetto alla necessità di peccare”.

Per Lutero la Grazia non è capace di restaurare la condizione umana. Essa altro non sarebbe che un’imputazione puramente estrinseca della bontà e della giustizia di Cristo all’uomo, sicché questi rimarrebbe sempre profondamente peccatore. Insomma, Dio riterrebbe giusto l’uomo, quando invece questi ontologicamente non può esserlo mai.  Significative sono queste parole di Lutero: “Se tu, a prescindere dalla giustizia e dalla purità di Cristo, potessi scorgere che cosa è in se stesso un cristiano, fosse pure il più santo, non solo non troveresti in lui nessuna purità e candore, bensì troveresti una, per così dire, sozzura diabolica.”

 

E’ ovvio che questi due modi molto diversi di intendere la giustificazione sottendono due modi anch’essi diversi di intendere la Fede e consequenzialmente l’uomo.

Ricordiamo che se nel Cattolicesimo la Fede è un assenso dell’intelletto alle verità rivelate, nel Protestantesimo essa è un atto fiduciale, di totale e cieco abbandono senza che l’intelligenza ne venga coinvolta. Ovviamente una tale differenza fa ben capire quanto nel Cattolicesimo, a differenza del Protestantesimo, ci sia una maggiore fiducia nelle facoltà personali dell’uomo, e quindi che, sempre riguardo all’uomo, si nutra una concezione più positiva, cioè più ottimistica.

 

Ma adesso chiediamoci: questi due modi di intendere la giustificazione hanno avuto ripercussioni sul piano culturale e sociale? Ovviamente la risposta non può che essere affermativa.

Si potrebbe facilmente fare riferimento ai Paesi di cultura cattolica che a differenza di quelli di cultura luterana hanno sempre mostrato sociologicamente un atteggiamento più positivo nei confronti della vita. L’allegria, la socievolezza, la fantasia sono state sempre molto più diffuse nei primi che non nei secondi. Ma c’è un altro punto, anzi ci sono altri due punti che vanno evidenziati. E sono quelli della criminalità e del vizio.

Non è un caso che Paesi a tradizione protestante, vedi il Regno Unito con Scotland Yard ma non solo, sono Paesi che vantano una superiore preparazione in materia di d’indagine poliziesca rispetto ai Paesi di tradizione cattolica. In questi c’è sì la criminalità, ma una criminalità non “gratuita” e con finalità ben precise; nei Paesi protestanti invece si è nel tempo riscontrata una fenomenologia di violenza gratuita con tipiche caratteristiche patologiche, si pensi ai cosiddetti “serial killer”.

Ma –dicevamo- non solo la criminalità, anche il vizio. I Paesi protestanti in misura maggiore hanno patito e patiscono le piaghe del vizio; per esempio quello dell’alcolismo.

Ebbene, tutto ciò è anche l’esito di una concezione pessimistica dell’uomo che è talmente penetrata nelle strutture e nell’immaginario collettivo da far sì che l’uomo stesso si sentisse sempre più solo, disperato, irrecuperabile, fallito.

Passiamo adesso all’analisi del documento e lo facciamo in quattro punti.

1

In questa Dichiarazione la controparte è inesistente. Come possono alcuni teologi luterani rappresentare il mondo protestante se si sa che questo “mondo” si contraddistingue per un rifiuto di qualsiasi autorità dottrinale che voglia porsi come vincolante?

2

Le diverse posizioni che Cattolicesimo e Luteranesimo hanno nei confronti della giustificazione non possono semplicisticamente essere ridotti a differenze che muovono da accentuazioni diverse. Se così fosse, allora come mai un concilio come quello di Trento non sarebbe riuscito ad individuare l’inconsistenza della questione?

3

La Dichiarazione si macchia anche di errori dottrinali. Fa specie dirlo, ma è così. Per esempio quando afferma che anche cattolicamente si possa affermare che l’uomo è “simul iustus et peccator”. Certamente l’uomo è peccatore. La Scrittura dice che anche il giusto pecca sette volte al giorno (Proverbi 24), ma nel momento in cui viene giustificato da Dio è tale e non è più peccatore. Poi il suo stato potrebbe cambiare subito, ma ciò non significa che non possa esserci un attimo in cui l’uomo sia solo giusto. L’altro punto è quando la Dichiarazione afferma una certa legittimità del “mere passive”, che invece è cattolicamente inaccettabile. Ovvero che l’uomo non parteciperebbe attivamente, con le opere, alla sua giustificazione operata dalla Grazia di Dio.

5

Inoltre vi sarebbe da dire (e lo diciamo) che lo stile della Dichiarazione non è consono allo statuto della Verità Cattolica che non è l’esito di un procedimento intellettuale dei singoli fedeli, bensì patrimonio costitutivo della Rivelazione. Per cui se il Concilio di Trento ha affermato ciò che ha affermato la questione deve essere posta in tal senso.

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