BORRACCIA – 9 dicembre

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


Tra gli strumenti di un cammino vi è la borraccia con cui portarsi dietro dell’acqua per idratarsi. Fuor di metafora, ne Il Cammino dei Tre Sentieri la “Borraccia” è la meditazione. I vari punti sono i “sorsi” della meditazione.


L’ACQUA

La felicità è un fiore di cielo, non sboccia se prima non lo irrora il pianto della terra: per questo è difficile la sua crescita.
(Gigi Zappulla, giovane morto in concetto di santità nel 1982 – Diario, giorno: 2 gennaio 1982)

I SORSI

1

Cari pellegrini, stiamo camminando in campagna. La stanchezza ci prende e così decidiamo di riposarci un po’. Il prato è asciutto per cui è gradevole stendersi a terra. Il nostro sguardo vaga fin quando non viene colpito da un bel fiore che solitario si staglia dall’erba. Lo osserviamo attentamente: in poco spazio c’è una perfezione straordinaria, i petali sono posti simmetricamente formando una corona regale, il loro delicato colore sfuma in un “pastellato” che nemmeno il più grande degli artisti, forse, saprebbe produrre.

2

Osservando un piccolo fiore del genere, ci colpiscono due cose: come la sua bellezza si stagli dai comuni fili d’erba e come si presenti “umilmente”: infatti chi avrà la possibilità di ammirarlo? Anche noi stessi lo abbiamo visto per un puro caso; se non ci fossimo distesi in quel posto, non lo avremmo mai potuto ammirare.

3

L’acqua di questa borraccia è costituita da una frase tratta dal diario di un giovane piemontese, Gigi Zappulla, morto a causa di un cancro nel 1982. Un giovane che ha vissuto la sua malattia offrendo tutto al Signore.

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In queste parole vi è tutto il senso e l’essenza della vita cristiana, perché è autenticamente descritta l’unione tra felicità e sofferenza, tra resurrezione e morte, tra Paradiso e Croce.

5

Il giovane Gigi dice che la felicità è un fiore, un fiore del cielo, che per sbocciare ha bisogno del “pianto della terra”. Ebbene, una frase di questo tipo, lungi dall’essere una negazione del valore della vita terrena, ne costituisce invece la piena valorizzazione.

6

Sapere che ogni disagio, ogni dolore, ogni sofferenza diventi rugiada per irrorare il fiore che sboccerà in Paradiso, è sublimare la vita, renderla capace di bellezza, di felicità eterna: di novità!

7

Soffermiamoci su questo concetto: la vita capace di novità. Sembra un’espressione un po’ enigmatica e invece è molto facile da capire. La noia può subentrare o quando si è costretti a fare sempre le stesse cose, oppure quando sfugge il fine di ciò che si deve fare, quando non si capisce bene quale sia, quando non c’è un obiettivo che possa adeguatamente motivare l’agire e la fatica. Insomma, ci si annoia anche facendo cose diverse, ma senza senso, senza che se ne capisca il perché.

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Scrive Leopardi: “La noia è la più sterile delle passioni umane. Com’ella è figlia della nullità, così è madre del nulla: giacché non solo è sterile per sé, ma rende tale tutto ciò a cui si mesce o avvicina.” 

9

Nelle parole del giovane Gigi non c’è spazio per la noia. Anzi, egli ci fa capire che, pur nella sofferenza, pur essendo costretto in un letto, pur dovendo annullare tutti i suoi progetti terreni, sta, con il suo dolore, irrorando un seme che sotto la terra si sta schiudendo per fiorire.

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Viene da pensare a tanti ragazzi di oggi che scoppiano di salute, che fanno tante cose, che sono pieni di progetti ed ambizioni, ma che sono incapaci di cogliere il perché del loro attivismo. E questo lo si nota sui loro volti, nei loro sguardi. Il corpo è agile, l’organismo funziona bene, ma lo spirito è lento ed è spento: non c’è un “fuoco” che entusiasmi l’agire.

11

Cari pellegrini, ritorniamo al fiore da cui siamo partiti. Abbiamo detto che colpiscono due cose: come la sua bellezza si stagli dai comuni fili d’erba e come si presenti “umilmente”. Così è la sofferenza a cui il Signore può chiamare. Essa serve per stagliarsi verso l’alto, cioè verso il Cielo; ma il tutto deve avvenire nel silenzio, perché il “pianto della terra” non fa rumore: a far nascere i fiori non è la pioggia torrenziale che potrebbe spezzarli, ma quella cadenzata e leggera. Noi ascoltiamo il chiasso del mondo e dei Potenti e pensiamo che la Storia sia lì; quando invece la vera Storia è nei silenziosi sacrifici dei Giusti.

Al Signore Gesù

Signore, ti chiedo di aver sempre presente che non c’è bellezza possibile senza la fatica…

…che non c’è premio senza la prova…

…che non c’è fiore che possa sbocciare senza che lo si irrori con il pianto.

Alla Regina dello Splendore

Madre, Tu hai generato la bellezza di tutte le bellezze, il Fiore di tutti i fiori.

E lo hai fatto accettando l’inaudita sofferenza a cui ti saresti dovuta sottoporre: sapere sin da subito cosa sarebbe toccato al tuo Divin Figlio.

Madre, aiutami affinché anch’io possa generare il mio fiore del Cielo.

Madre, accompagnami nel cammino di questo giorno.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri

 


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