A proposito di suicido assistito: ci occorre la classe di Stefano Borgonovo per dribblare la cultura della morte!

In questi giorni in cui si torna a parlare di eutanasia e suicidio assistito (il caso del regista francese, Jean-Luc Godard) riportiamo un capitolo de “Il Catechismo del Pallone“, scritto da Corrado Gnerre, direttore di questo sito.


Il capitolo riguarda la storia dell’ex-centravanti Stefano Borgonovo, morto di SLA, che fino all’ultimo momento ha sempre rifiutato l’eutanasia.

E’ importante in questi giorni riflettere su questi esempi.

Il titolo del capitolo è “Il centravanti che non ha mai smesso di fare gol!

Nel XIII secolo, in quel di Parigi (attenzione: Parigi non Voghera … con tutto il rispetto per la città lombarda), dicevo: nel XIII secolo in quel di Parigi, precisamente alla Sorbona (la più prestigiosa università del tempo) ci fu un vero e proprio dominio italico: altro che testata di Zidane! La testata, molto più forte, ci fu, ma la diedero due pezzi grossi dell’Italia centrale, non due “gemelli del gol”, tipo gli indimenticabili Graziani-Pulici del Torino della seconda metà degli anni ’70, ma due “gemelli della filosofia”: san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio. Due assi della filosofia; il primo, stella della Scuola Domenicana; il secondo, della Scuola Francescana. Ebbero tanto successo in quell’Università che gli studenti accorrevano a frotte ai loro corsi e pendevano dalle loro labbra, un po’ come quando negli stadi arrivava Maradona o ancora adesso arrivano corazzate come il Barca o il Real Madrid. Facendo le debite proporzioni era così. Ovviamente questo suscitò più di un’invidia negli altri docenti. Non sapevano cosa fare per farli fuori (accademicamente parlando, s’intende) e quindi pensarono di utilizzare l’argomento vocazionale. Ma perché –dissero- dei religiosi devono essere costretti allo studio e all’insegnamento togliendo prezioso tempo alla preghiera? E’ bene che si concentrino nella vita spirituale. Ovviamente si capì subito la “sincerità” di quel premuroso provvedimento … e i due (san Tommaso e san Bonaventura), a furor di popolo (pardon: a furor di studenti), continuarono a mietere successo nell’Accademia parigina.

C’è un episodio famoso legato a questi due grandi personaggi. San Tommaso andò ad insegnare a Parigi dopo l’arrivo di san Bonaventura e quando questi già era famoso. Un giorno gli chiese di poter visitare la sua cella per vedere i libri su cui studiava e ovviamente il Francescano ne accolse il desiderio. San Tommaso entrò nella cella e vide una serie di libri, ma erano pochi e allora chiese di poter vedere di più, chiese quali davvero fossero i libri che Bonaventura consultasse più frequentemente. Allora il Francescano lo condusse in una cella più piccola e con sorpresa il Domenicano vide che non c’era nemmeno uno scaffale né tantomeno una scrivania con qualche libro poggiato, ma soltanto un semplice Crocifisso con un inginocchiatoio. A che san Bonaventura esclamò indicando il Crocifisso: “Questo è il libro più utile che leggo!”

Ai miei tempi –mi riferisco a quando ero adolescente- non c’erano ancora le scuole-calcio (parlo del Centro-Sud d’Italia); si giocava su qualche campetto di periferia o addirittura in qualche piazzetta ben asfaltata. Succedeva spesso di arrivare di corsa nel luogo dove si doveva abbozzare qualche partitella (“di corsa” per vincere pericolose concorrenze) e poi ci si accorgeva che nessuno aveva portato il pallone: “Ma lo dovevi portare tu!” “No, lo dovevi portare tu!” E si discuteva sul nulla, il pallone non usciva … e il desiderio di giocare rimaneva abortito. Ci si era affrettati per andare a giocare a pallone … ma senza il pallone.

Torniamo ai grandi “gemelli della filosofia medioevale”, san Tommaso e san Bonaventura. Come ci capitava in quei casi di correre per andare a giocare a pallone senza esserci adeguatamente preoccupati di portare il pallone, così succede che spesso si crede di poter vivere senza portare con sé la Croce, anzi addirittura pretendendo di fare a meno della Croce. San Bonaventura, nel famoso episodio, disse al suo illustre collega che la vera sapienza sta nella Croce e, senza di essa, non si potrà mai capire nulla della vita. Ed è così. Un famoso direttore spirituale di san Pio da Pietrelcina, padre Benedetto di San Marco in Lamis, soleva dire che le croci sono come i capelli, anche se si tagliano, ricrescono sempre.

La felicità che è data all’uomo (l’unica!) non è  alternativa alla sofferenza, perché questa è ineliminabile, bensì alla disperazione, che è il soffrire senza però poter dare un senso alla sofferenza. La Croce è l’unico senso possibile che si può dare al dolore umano e quando si vuole smussare la Croce è come pretendere di rendere quadrato il pallone: non si può più giocare.

Senza la Croce ogni dolore diventa insopportabile. Noi oggi constatiamo un paradosso. C’è una terapia del dolore che ha fatto passi da gigante, eppure vi è una richiesta di eutanasia molto maggiore rispetto al passato allorquando il dolore davvero faceva paura. Il perché sta nel fatto che mentre prima l’uomo, credendo nella vita eterna e nel valore espiatorio della Croce, riusciva a dare senso alla sofferenza; oggi l’uomo, non credendo né nella vita eterna né tantomeno nel valore espiatorio della Croce, non sopporta più nulla e ogni dolore diventa di fatto insopportabile.

Vivere senza la Croce è come affaticarsi a correre su un campo di calcio senza il pallone. Se c’è il pallone, ha senso correre, stringere i denti, sporcarsi nel fango, dribblare e inseguire l’avversario, prendere calci e pugni, sgomitare. Ma senza il pallone, fare tutto questo sarebbe da manicomio.

C’è stato un centravanti che non ha smesso mai di giocare … e fare gol. I vari Boninsegna, Gerd Muller, Van Basten, Chinaglia, Di Stefano, Pippo Inzaghi, Bobo Vieri, ecc… un giorno appesero le scarpe al chiodo, ma un altro centravanti ha deciso di non smettere e, pur arrivando ad un’età di pensione calcistica, decise di continuare a giocare a pallone e di continuare a fare splendidi gol. Chi è costui? Stefano Borgonovo (classe 1964).

Qualche anno dopo aver lasciato i campi di gioco, una durissima sentenza: SLA (sclerosi laterale amiotrofica). Poco tempo e: non più movimenti, non più parola; costretto a letto e a poter comunicare solo con un decodificatore elettronico. Ma il grande Stefano non ha mai smesso di giocare a pallone, perché non ha mai pensato di “staccare la spina”. Paolo Perego incontrò Stefano Borgonovo negli ultimi tempi. Ha scritto sul sito la nuovabussolaquotidiana (lanuovabq.it) del 29.6.2013:

“L’interruttore del respiratore è lì, vicino al letto. Eppure c’è chi al tuo posto staccherebbe la spina, chi dice che la vita non è una vita che vale la pena di essere vissuta … ‘Gli direi questo: proteggi i doni dell’infanzia, conserva la capacità e la disponibilità di lasciarti affascinare. Se non è così, allora stacca la spina. Ma è egoismo.” 

Che parole vere! Si vive, si deve vivere, si deve accettare la vita sempre come un dono, perché si deve avere la capacità di proteggere i “doni dell’infanzia”, di conservare la capacità e la disponibilità di lasciarsi affascinare. E’ il dono, è l’altruismo, è l’accettazione della volontà di Dio nella propria vita.

Nella mitica semifinale di Monaco di Baviera (era il 18 aprile 1990) al Milan occorreva un gol. Si era ai supplementari, quando Stefano Borgonovo ricevette il pallone (non si sa da chi perché esito di un contrasto tra un milanista e un tedesco) e con un pallonetto, degno del miglior cesello di Benvenuto Cellini, superò l’esterrefatto Aumann. I tifosi del Bayern ammutolirono. La vita è proprio così, si deve far tesoro di ciò che Dio permette e offre, che può essere il pallone sporco per “pallonettare” il portiere avversario, ma soprattutto la Croce per salire il Calvario e conquistare il Paradiso.

Borgonovo riuscì in quel caso a rendere spettacolare un pallone “sporco”, un rimbalzo alla evviva il parroco!, una parabola da partita scapoli e ammogliati, e trasformarlo in un gesto di un eleganza sublime. E’ la vita: dalla sofferenza apparentemente insignificante, se si vuole, nasce lo splendore dell’eternità!

Tra tante cose che Borgonovo ha scritto vi sono queste parole:

Io, se potessi, scenderei in campo adesso, su un prato o all’oratorio. Perché io amo il calcio.”

In realtà lui dal campo di calcio non si è mai allontanato, il pallone è stato sempre ai suoi piedi, perché ha scelto la Croce e non la “comodità” della spina staccata.

Un bel gol nella rete della cultura di morte dei nostri tempi! 

 Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri

 


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