Colpisci la famiglia, nulla. Colpisci la banca, risponde la politica!

Robi Ronza non è certo un giornalista estremo, nel senso che tenda ad estremizzare certe posizioni e attacchi a testa bassa. Ed è significativo che sia arrivato a scrivere, su lanuovabq.it, queste parole a proposito dell’operazione del governo di salvataggio delle banche venete:

“Uno Stato come quello italiano, che depreda i suoi cittadini con una pressione fiscale abnorme e distruttiva, circa il 50 per cento del prodotto interno lordo, getta poi 27 miliardi di euro in operazioni del genere, per di più senza che sia all’orizzonte alcun redde rationem per coloro che hanno portato i due gruppi bancari in questi baratri. E che dire dell’aretina Banca Etruria e di altri tre istituti di credito del centro Italia, le cui passività, almeno 5 miliardi di euro, sono passate a  una “bad bank” incaricata di smaltirle non si sa bene come ma di certo non a spese di chi le ha generate? Nelle intenzioni del governo basta che i responsabili di questi giganteschi disastri si tolgano di mezzo, cosa che ovviamente sono ben lieti di fare, e tutto (per loro) finisce lì. Tanta indulgenza viene condivisa a bocca chiusa dal grosso della stampa che conta, la quale si guarda bene dal sollevare con forza la questione. Tutto questo dà un’idea di quanto estesa e quanto ampia sia la rete di distrazioni colpevoli, se non di complicità, che caratterizza il meccanismo di vigilanza del nostro sistema bancario. E che poi Forza Italia  lasci al Movimento 5 Stelle il ruolo di prima linea alla Camera nell’opposizione al decreto salva-banche venete fa pensare che tale rete sia “trasversale” al di là di qualsiasi ragionevole immaginazione. Per meglio capire come vanno le cose nel mondo del credito in Italia facciamo ad esempio il caso di Veneto Banca, nata nel 1877 come Banca Popolare di Montebelluna e rimasta per circa un secolo nelle sue prudenti dimensioni di istituto di credito locale della ricca marca trevigiana. Dal 1997, si spiega ancora oggi trionfalmente nel suo sito Internet “la Popolare intraprende un cammino che la porta a cambiare la denominazione in Veneto Banca e a divenire protagonista del panorama bancario nazionale, attraverso l’integrazione di altri istituti di credito e l’apertura di nuovi sportelli. Dal 2000 estende i propri interessi nell’Europa Orientale, acquisendo quattro banche in Paesi dalle grandi potenzialità, dove operano molte imprese italiane. Oggi Veneto Banca è una Società per Azioni che serve il territorio nazionale con la propria rete di filiali e, al Sud, con la controllata Banca Apulia(…). Nell’Est Europa opera in quattro Paesi: in Romania direttamente con la propria succursale di Bucarest e una rete di sportelli nelle città più importanti; in Moldavia con la controllata Eximbank; in Croazia con Veneto Banka d.d. e in Albania con Veneto Banka Sh.A.”. E in tutti questi anni nessun organo di alta vigilanza si è mai allarmato vedendo l’antica Banca Popolare di Montebelluna impegnarsi in questa sempre più veloce sequenza di passi più lunghi della gamba? Tanto più adesso che non presiede più all’emissione della moneta, un potere passato alla BCE, si sarebbe pensato  che la Banca d’Italia avesse molto più tempo per vigilare sul settore del credito, che è l’unica importante competenza rimastale. E d’altra parte quello dell’alta dirigenza bancaria è un… villaggio virtuale dove tutti sanno tutto di tutti. Non c’è dunque nemmeno bisogno di astuzie e ardimenti da James Bond per venire a sapere che cosa non funziona e dove. Se dunque si arriva a “buchi” come quelli di cui si diceva ciò significa che in quei ristretti ed esclusivi circoli il gioco delle tre scimmiette dilaga. Con i 20 miliardi già stanziati per pagare i debiti del Monte dei Paschi di Siena, e con i 17 che adesso si stanziano per pagare i debiti delle due banche venete – osserviamo concludendo – si sarebbe potuto finanziare un grande piano di rilancio della nostra economia su cui incombe tra l’altro il peso di un gran numero di crediti bancari “deteriorati”. Secondo alcuni osservatori questi crediti ammonterebbero addirittura a 350 miliardi di euro, ma se fossero anche soltanto la metà basterebbero, se perduti, a provocare lo sconquasso di tutta l’economia del Paese.

Insomma, dolenti note. Si glissa su un recupero dell’economia reale. Le famiglie rimangono al palo. non ci risultano misure drastiche e soprattutto realmente efficaci sulla disoccupazione, ma per le banche e per la finanza ci si attiva a mo’ di riflesso condizionato.

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