Il Catechismo di San Pio X commentato per voi (n.133)

Rubrica a cura di Pierfrancesco Nardini


Domanda: Che significa remissione dei peccati?
Risposta: Remissione dei peccati significa che Gesù Cristo ha dato agli Apostoli e ai loro successori la potestà di rimettere nella Chiesa ogni peccato.


In generale remissione significa “l’azione e il fatto di rimettere, cioè di condonare e di rinunciare a punire o comunque a perseguire, colpe, peccati, mancanze” (Treccani, vocabolario online).

Nella Chiesa Cattolica indica la potestà data da Gesù di togliere i peccati, mortali e non, con la Confessione, o di essere liberato da questi con la contrizione perfetta: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi; e saranno ritenuti a chi li riterrete” (Gv 20, 23). Unico caso in cui non serve la Confessione è quella del Battesimo di una persona adulta, in quanto questo Sacramento libera da ogni peccato, non solo da quello originale.

È quanto il fedele professa nel Credo sulla base degli insegnamenti di Cristo: “Credo … la remissione dei peccati”.

La possibilità di vedere rimessi i nostri peccati è strettamente collegata alla Redenzione che Nostro Signore ha realizzato per noi sulla Croce. Senza infatti, a causa del peccato originale, non si sarebbe “riaperto il Cielo” e non ci sarebbe stata possibilità per gli uomini di salvarsi. Su questo Gesù è stato chiarissimo: “Questo è il mio Sangue, il Sangue della nuova alleanza che è sparso per molti a remissione dei peccati” (Mt 26, 28).

Si è specificato che questo vale per ogni tipo di peccato, di ogni gravità, perché era evidente che Cristo avesse inteso questo. Sarebbe stato, d’altronde, contraddittorio che alla Redenzione fosse seguita una limitazione dei peccati da cui ci si poteva liberare. Sarebbe stato in contrasto con il continuo insegnamento che Dio vuole tutte le anime a Lui vicine nel Paradiso e che solo il non corrispondergli degli uomini non permette questo.

“La Chiesa ha avuto sempre chiara la coscienza che si estendeva a tutti quanti i peccati. La testimonianza del Concilio di Nicea al principio del sec. IV (…) e quelle dei santi Cornelio e Cipriano a metà del III” è “un richiamo a quella che è la dottrina apostolica” (Casali).

Questa verità non è scalfita nemmeno dalle parole di Gesù in Matteo 12, 32 con cui cita alcuni peccati che non potranno essere perdonati “né in questo mondo, né in quello futuro”. Qui Cristo non fa un’eccezione al valore generale della Redenzione, bensì evidenzia come con quel tipo di peccati (contro lo Spirito Santo) è l’uomo stesso a non renderli remissibili: sono peccati infatti, “come la ostinazione nel male e l’impenitenza finale, i quali non vengono rimessi, non perché manchi la sua grazia e il suo merito, ma solo perché l’uomo vi rimane fino alla morte per sua cattiva volontà e si oppone perciò alla remissione” (Casali).

È chiaro però che la remissione dei peccati tramite la Confessione ha dei limiti, per così dire, naturali e logici, dovuti alla volontà del penitente e al suo essere dentro la Chiesa.

Come ricordato nei precedenti commenti, infatti, chi è fuori della Chiesa, in questo caso perché non battezzato, non può godere dei mezzi di salvezza che essa ha ricevuto da Gesù. Nemmeno gli Apostoli, e di conseguenza i loro successori, potrebbero rimettere i peccati in questa situazione. Unica via possibile in questo caso è il dolore perfetto, la cosiddetta “contrizione perfetta”.

Non è una discriminazione nei confronti di alcuni, bensì appunto una conseguenza naturale e logica, così come senza problemi è ritenuto naturale e logico che chi non è socio non partecipi degli utili di una società.

Altro elemento imprescindibile è che nel fedele ci sia reale pentimento, reale volontà di non peccare più e reale volontà di riparare eventuali danni arrecati ad altri.

Come si può, infatti, pretendere di ottenere un perdono se non si è sinceramente dispiaciuti, pentiti di quel che si è fatto? Come si potrebbe pretendere da Dio il Suo perdono in modo unilaterale, senza corrisponderGli nulla? Anche in questo caso, come sempre, rende bene l’idea il paragone con i rapporti umani: non si accettano molto spesso le scuse di chi offende, se ci si rende conto che non sono sincere, e si vorrebbe che non fosse così in un rapporto ontologicamente ben diverso con Dio?

Si teme, purtroppo, che possano esserci molte confessioni non valide, proprio per mancanza di questi ultimi elementi: il confessore può non rendersi conto delle reali volontà del penitente, ma Dio di certo lo sa.

Si deve evidenziare, infine, che san Pio X sottolinea come la potestà di rimettere i peccati è stata data anche ai successori degli Apostoli.
Nonostante ci sia stato qualcuno che ha avversato questa verità, era necessario, oltre che evidente, che ci fosse questa trasmissione. Come commenta il Dragone, infatti, “se alla morte degli apostoli il potere di perdonare non si fosse trasmesso nella Chiesa, coloro che dopo il Battesimo commettono peccati gravi si troverebbero nella condizione degli infedeli”, ossia a coloro che non hanno fede, non credono e che sono fuori della Chiesa.

La Chiesa ha definito questa verità, in particolare con il Concilio di Trento: “N.S. Gesù Cristo, stando per salire al cielo, lasciò in sua vece i sacerdoti come governatori e giudici, ai quali devono essere manifestati tutti i peccati mortali in cui i fedeli sono caduti. E questi, per i potere delle chiavi, devono pronunciare la sentenza di remissione o di ritenzione” (Sess. 14, de sacram. Poenit.).

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