Il Catechismo di san Pio X commentato per voi (n.26)

(a cura di Pierfrancesco Nardini)

Che fece Gesù Cristo per salvarci? Gesù Cristo per salvarci soddisfece per i nostri peccati, patendo e sacrificando se stesso sulla croce, e c’insegnò a vivere secondo Dio

Abbiamo già chiarito nel precedente commento che era necessario il Sacrificio di Cristo, vero Dio e vero Uomo, per poter pareggiare la gravità dell’offesa subita da Dio con il peccato originale.

Perché si doveva riparare?

Il peccato in sé è offesa a Dio e conseguente aversio a Deo (allontanamento da Dio). Ci si allontana da Dio per una volontaria adesione a qualcosa che è contrario al Suo volere, alla Sua Legge.

Un’offesa fatta ad una persona deve essere riparata, nei vari modi necessari in base al tipo di offesa (dalle scuse a provvedimenti giudiziari). A maggior ragione, dev’essere riparata l’offesa fatta a Colui che ci ha creati, a Dio.

La soddisfazione, infatti, è un atto di giustizia, come conferma anche San Tommaso (Summa Theol., suppl. III, q. 12, a. 2), appoggiandosi a Sant’Anselmo (la soddisfazione «rende a Dio l’onore che gli è dovuto», Cur Deus homo 1, 11).

Anche nel diritto positivo si trovano delle differenze di pena tra le varie offese, tra i vari delitti in base alle circostanze c.d. aggravanti; in particolar modo ci sono delle aggravanti che rendono più pesante la pena quando il reato è rivolto verso determinate categorie di persone.

Tutti, pacificamente, comprendiamo che l’offesa fatta al sottoscritto è meno grave di quella fatta a chi ha una carica istituzionale o di altro tipo (ad es. il Presidente della Repubblica). Non perché questi ha più valore come persona rispetto al sottoscritto: a livello ontologico, di natura, siamo tutti uguali, tutti gli uomini hanno lo stesso valore. La differenza è nella carica che riveste, che in quel momento aggrava l’offesa.

Facciamo le debite proporzioni e applichiamo questo a Dio: quanto infinitamente più grave può essere un’offesa fatta a Lui rispetto a quella fatta al più importante (per carica) uomo?

Nel rapporto con Dio c’è proprio una differenza ontologica, come non c’è nei rapporti tra uomini. Se il Presidente della Repubblica è per natura uguale a tutti gli uomini e si differenzia solo per la carica (temporanea) che riveste, Dio è invece ontologicamente superiore a tutto il genere umano, anche all’uomo che ha la più alta carica sulla Terra. Egli infatti è Essere infinito ed è il Creatore. E il Creatore è oggettivamente superiore a tutti.

Se, dunque, si pagherà di più l’offesa ad un’alta carica rispetto a persone normali, così ci voleva molto di più di qualsiasi preghiera e riparazione umana per ripagare il peccato originale, come spiegato nel commento al numero precedente.

E qui entra in campo l’amore di Dio per gli uomini e l’Incarnazione di Cristo con la Sua Passione e Morte per la Redenzione dal peccato dei progenitori.

È il concetto di soddisfazione c.d. vicaria. Questo è un termine che «indica compensazione sufficiente, in vece e a favore di una persona, per un debito materiale o morale, di cui essa per propria colpa è debitrice, secondo giustizia, verso una terza persona» (E.C.).

In sostanza significa la sostituzione di Gesù agli uomini nell’atto di soddisfazione della divina giustizia.

La soddisfazione vicaria è di fede, in quanto si può trovare già nella S. Scrittura (v. Rom 5, 8; 8, 3-4; 8, 32: 2Cor 5, 21; Gal 2, 20). Anche S. Pietro la evidenzia (1Pt 2, 24: «da questo passo si dimostra la dottrina cattolica che Gesù Cristo è morto ed ha soddisfatto a Dio per noi e in vece nostra», commento Sales). È stata inoltre chiaramente insegnata dalla Chiesa, ad es. nell’infallibile Concilio di Trento («Colla sua santissima Passione sul legno della Croce ci meritò la giustificazione e per noi soddisfece al Padre»). Nel Credo si professa questa verità quando si recita che Cristo «fu crocifisso per noi».

Un’ultima considerazione sulle modalità scelte da Dio per la Redenzione. Molti si chiedono se fosse necessaria tutta la sofferenza che Gesù ha patito e perché Dio abbia permesso che il Figlio sopportasse quei dolori.

A dire il vero, no, sarebbe stato sufficiente un semplice atto di amore di Gesù o, anche, una sola goccia del Suo Sangue per ottenere la Redenzione. Dio, però, ha voluto scegliere la Passione e la Croce per dimostrare agli uomini quanto amore avesse per loro.

Egli «non ha risparmiato suo Figlio, ma ha disposto che soffrisse per noi tutti» (Rom 8, 32). Dà addirittura il Figlio prediletto.

Gesù ha scelto liberamente di offrirsi per la Redenzione e di accettare quel tipo di Passione, per darsi fino in fondo per amore degli uomini e, nello stesso tempo, per dare un insegnamento sulla sofferenza (Teologia della Croce), che ai nostri giorni troppo spesso è dimenticata, se non addirittura rifiutata.

Men che meno si può pensare che se Dio ha permesso quella sofferenza, abbia avuto meno amore per il Figlio (tutto il Vangelo è spiegazione del contrario).

San Pio X ci insegna che Cristo nella sua opera di salvezza, oltre alla Redenzione, opera primaria e fondamentale, «c’insegnò a vivere secondo Dio».

Vivere secondo Dio significa semplicemente «credere alla verità rivelata da Lui e osservare la sua legge» (Dragone). Approfondiremo nel commento al prossimo numero questo argomento.

Concludiamo meditando l’opera di salvezza portata a compimento da Gesù e ringraziandoLo quotidianamente per l’amore infinito che ci ha dimostrato. Soprattutto non mettiamoci in condizione di «non ricevere nessuna utilità dalla venuta di Nostro Signore sulla terra» (Dragone).

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