Rubrica a cura di Corrado Gnerre
Tra gli strumenti di un cammino vi è la bisaccia, una borsa con cui poter portare il piccolo necessario; non certo il pasto che i pellegrini chiedevano e chiedono agli ostelli, ma qualche semplice e piccolo boccone per sostenere il passo.
Fuor di metafora, ne Il Cammino dei Tre Sentieri la “Bisaccia” è un insegnamento della sapienza naturale con cui poter sostenere il passo dell’esistenza e confermare la scelta della bellezza della Verità cattolica.
“I migliori fra gli uomini non possono cambiare il proprio destino…”
(Daniel Defoe – Carattere del defunto dottor Annesley)
L’uomo è grande: con la sua mente riesce ad “avvolgere” il reale.
Certamente non a contenere il reale, né ad esaurirne il mistero, ma riesce ad “avvolgerlo”, nel senso che con il suo pensiero lo può interpretare e catalogare.
Gli animali questo non lo possono fare.
L’uomo è grande anche perché sa amare sapendo di amare, sa odiare sapendo di odiare, sa gioire sapendo di gioire e sa soffrire sapendo di soffrire.
Poi ci sono uomini ancora più grandi.
Ci sono quelli che posseggono più intelligenza.
Che hanno più memoria.
Che hanno più senso estetico o che hanno più capacità nello scrivere, nel costruire, nel suonare, nel recitare, nel correre o nel gestire una sfera di cuoio su un prato verde.
Malgrado tutto ciò, la grandezza dell’uomo è nulla quando ci si imbatte con il destino.
Non il destino come qualcosa che è già scritto, sui cui nulla varrebbe la libertà umana; no, non quel destino lì: un altro destino.
Il destino come esito ultimo.
Il destino come incontro con la morte.
Il destino come andare verso il Giudizio.
Dinanzi a ciò, non c’è “migliore” e non c’è “peggiore”, c’è l’uomo e basta.
Il “migliore” e il “peggiore” esistono relativamente all’esito della morte, ma non per la morte in sé.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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