RICORRENZA 10 NOVEMBRE: Sant’Andrea Avellino

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1261-1263

Riforma o rivolta

È stato ed è ancora d’uso chiamare “riforma” il vasto movimento di ribellione contro la Chiesa scatenato da Lutero. Per molti, che hanno della storia nozioni molto modeste, nel secolo XVI la Chiesa era caduta in uno stato di letargia e di corruzione che pareva incurabile e fu necessario l’appello al Concilio del 28 novembre 1518, ripetuto il 17 novembre 1520 dal monaco eretico, per deciderla ad uscirne con il Concilio di Trento. La Chiesa dovrebbe per alcuni essere riconoscente al protestantesimo per la controriforma imposta dal protestantesimo.

La verità è ben altra ed è opera di storico, non di settario, affermare prima di tutto che il protestantesimo fu rivolta contro la Chiesa e non ritorno allo spirito del Vangelo, alla Bibbia e al culto dei primi secoli, rivolta iniziata quando già la riforma era in atto, prima che Lutero apostatasse, con un autentico ritorno al Vangelo, allo spirito di Cristo e degli Apostoli. I dati storici provano tutto questo.

Il Concilio di Trento era senza dubbio necessario, per precisare il dogma cattolico di fronte all’audacia degli innovatori e per aiutare coi decreti di riforma, uomini e istituzioni, ma è indiscusso che il Concilio poté riunirsi ed avere efficacia in forza del vero rinnovamento religioso e morale suscitato un po’ dappertutto da movimenti riformatori, che andavano acquistando sempre maggiore influenza. Nel 1517 era terminato il Concilio del Laterano, in cui il Generale degli Agostiniani aveva giustamente fatto notare che “gli uomini dovevano essere trasformati dalla religione e non la religione dagli uomini”. Nel 1514, Leone X aveva approvato con una bolla “l’Oratorio del divino amore” che da vent’anni raccoglieva uomini per i quali contava soltanto il regno di Dio e la sua giustizia e tra questi erano Gaetano da Thiene, Giovanni Pietro Carafa poi Papa Paolo IV, diplomatici di Curia e umanisti celebri.

Chierici regolari

Fra quelli che lavoravano per la riforma cattolica in Italia, bisogna dare un posto d’onore ai Chierici Regolari Teatini, Barnabiti, Somaschi, che con le loro virtù ricordarono al mondo la santità del sacerdozio e con l’apostolato fra la gioventù e il clero contribuirono a cambiare i costumi sociali, dimostrando che la Chiesa ha sempre in sé la viva sorgente della santità di Cristo.

San Gaetano e sant’Andrea

Abbiamo veduto il giorno 8 aprile con quale perfezione san Gaetano abbia accolto e praticato il consiglio dell’assoluta povertà e dello zelo disinteressato dei primi Apostoli. Quale risposta al chiasso, agli insulti e ai vizi di Lutero questa umile santità!

Morì a Napoli il 7 agosto del 1547 e nove anni dopo la sua Congregazione, rimasta fedele al suo spirito e fervorosa, ebbe un erede della sua eroica santità e delle sue soprannaturali virtù, sant’Andrea Avellino, che fu l’amico e il sostegno del santo cardinale di Milano, Carlo Borromeo, e seppe formare discepoli ammirabili che, con zelo e dottrina, continuarono a servire la Chiesa (citiamo fra questi Lorenzo Scupoli, autore del Combattimento Spirituale che san Francesco di Sales leggeva sempre con profitto e raccomandava spesso).

VITA

Andrea nacque nel 1531 a Castro Nuovo in Italia. La sua giovinezza fu pia, pura e laboriosa. Studiò diritto a Napoli, ma ricevuto il Sacerdozio nel 1545, non volle esercitare che nel foro ecclesiastico. Un giorno gli fuggì una lieve bugia e ne ebbe tale rincrescimento che abbandonò il foro ; si dedicò al solo ministero, particolarmente presso le religiose. Nel 1556 entrò nella congregazione dei Chierici Regolari di san Gaetano da Tiene, nella quale prese il nome di Andrea per il suo amore per la croce. Vi si distinse per grande austerità, zelo ardente per la salvezza è la santificazione delle anime, pietà e carità che Dio ricompensò con prodigi. Propagò l’istituto, sostenne con la sua amicizia il Cardinale Carlo Borromeo nell’opera di riforma a Milano e morì il 10 novembre 1608 per apoplessia. Il suo corpo riposa nella chiesa di S. Paolo a Napoli. Beatificato il 4 settembre 1624, fu canonizzato il 22 maggio 1712.

Il desiderio di Dio

Come furono soavi e forti con te, o beato Andrea, le vie dell’Eterna Sapienza! Del piccolo fallo, da te commesso di sorpresa, fece il punto di partenza della santità che in te rifulse. La bocca che mente uccide l’anima (Sap 1,11) diceva; e quando aggiungeva: non impegnate in questa vita il vostro zelo per raggiungere la morte, non impegnate le vostre opere per conseguire la perdizione (ivi 12) fu da te perfettamente intesa e il fine della vita ti apparve quale i tuoi voti, da essa ispirati, te lo avevano tracciato: dimenticare sempre più te stesso e avvicinarti continuamente al sommo Bene. Noi glorifichiamo con la Chiesa (Orazione della Messa) il Signore, che preparò nell’anima tua così grandi ascensioni (Sal 83,6).

Il tuo cuore e la tua carne palpitavano per il Dio vivente e l’anima tua, assorbita dall’amore per le chiese, veniva meno pensando ad esse (ivi 2,3). Perché stupirci se uno svenimento supremo ai piedi degli altari di Dio ti procura l’ingresso nel Paradiso? Con quale gioia ti accolgono nei cori eterni gli angeli, tuoi compagni nel lodare Dio in terra! (ivi 4,5). Considera gli omaggi che ti giungono dalla terra, degnati rispondere alla fiducia di Napoli e della Sicilia che si rivolgono al tuo potente patrocinio presso il Signore, benedici i Chierici Regolari Teatini e implora per noi tutti una parte delle grazie che così abbondanti furono a te concesse (ivi 8). Non ci seducano mai vani piaceri, le nostre preferenze siano per la casa di Dio, al disopra delle mondane grandezze (ivi 11). Se, come te, ameremo la misericordia e la verità, il Signore ci darà, come a te, la grazia e la gloria (ivi 12).

La morte subitanea

Ricordando le circostanze in cui avvenne il tuo beato trapasso, il popolo cristiano ti onora come protettore contro la morte improvvisa. Assistici nel momento della nostra morte, fa’ che innocenza o penitenza ci preparino all’ultimo passo e che esaliamo, come te, l’ultimo respiro nella speranza e nell’amore (ivi 13).

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