Parrocchie vuote…santuari pieni. C’è da preoccuparsi?

di Corrado Gnerre


C’è un fenomeno che ormai si sta consolidando, al di là delle restrizioni Covid: nei santuari non va in crisi.

Una notizia di questo tipo desta più di una preoccupazione: se fosse accompagnata da una costante pratica religiosa e da una consistente e coerente adesione alla dottrina e alla morale cattoliche, ci sarebbe di che rallegrarsi. Il problema è invece che questi dati si accompagnano ad una situazione della vita cristiana che è quella che è.

Eppure questi dati alimentano anche una speranza. Una speranza non lieve, perché radicata in un desiderio di andare ad incontrare quel Dio e quella religione della propria infanzia capaci ancora di poter rassicurare.

Molti di coloro che oggi visitano i santuari, ci vanno per chiedere una grazia per sé o per i propri cari o per rianimare quella certezza che non li ha mai abbandonati, ovvero che ciò che gli hanno presentato nella infanzia è comunque la cosa più vera e ragionevole per la propria vita. Andare in un santuario non è un andare ad un convegno pastorale o teologico, ma incontrare e vivificare un’identità, per giunta nella consapevolezza che la fede si fa miracolo, si fa straordinario nell’ordinario.

Partiamo da questa constatazione: la proposta e l’educazione cristiane, ricevute nell’infanzia, si conservano come le dimensioni di vita più vere e ragionevoli. Partiamo dunque da qui e chiediamoci: che cosa fa sì che quella proposta -nella maggior parte dei casi- venga ufficialmente abbandonata ma si conservi in uno stato latente per quindi riemergere di volta in volta? Certamente non è facile dare una risposta. Ma qualcosa possiamo e dobbiamo dire.

La proposta cristiana è vincente se si sviluppa in questi passaggi consequenziali: primo, sulla capacità di accogliere; secondo, su quella d’invocare.

La capacità di accogliere è tipica del bambino che non avverte come scandalo il riconoscere i propri limiti e quindi la necessità di fondare la propria vita in un sano realismo. Non occorre fatica a far capire ad un bambino che Dio c’è: ogni cosa esiste perché c’è qualcuno che l’ha fatta.

Di conseguenza è anche tipica del bambino la capacità d’invocare, che nasce dal bisogno di tenerezza e di protezione. Da qui si capisce perché Gesù dice che chi non diventa come bambini non potrà entrare nel Regno dei Cieli (Matteo 18,1-4).

Detto questo, chiediamoci perché questa “dimensione infantile” della fede, pur non perdendosi ma riemergendo di volta in volta, non è più chiaramente espressa dall’annuncio cristiano? Insomma, perché oggi molti non riescono a trovare nella vita ordinaria di fede la possibilità di coltivare il senso dell’accoglienza e dell’invocazione?

Qui vengono le dolenti note, perché è chiamata in causa l’attuale pastorale.

Il Cristianesimo contemporaneo sembra ridotto ad una delle tante possibili soluzioni per l’al di qua, dimenticando la sua integrale risposta che è invece nell’ordine di una vita che non finisca, che trovi adeguata risposta solo nell’eternità.

Vediamo di essere più chiari per capire schematicamente quali sono i motivi la cui dimenticanza ha fatto sì che il Cristianesimo non sia più il criterio di giudizio di tutto, ma un’astratta reminiscenza che ogni tanto ritorna.

1

La sostituzione del Cristo-persona con un Cristo-idea

Si è fatta strada negli ultimi tempi un’intellettualizzazione della fede cristiana in cui la vita cristiana non è vista più come convivenza personale con Cristo, bensì come sporadica adesione al suo messaggio. Ne è scaturita una soggettivizzazione della fede e quindi una manipolazione di Cristo stesso che è diventato una sorta di “Cristo di plastica”, plasmato e plasmabile a proprio uso e consumo.

2

La dimenticanza della necessità della Vita di Grazia

Venendo meno il riferimento a Cristo-persona a favore di un Cristo-idea, è venuta conseguenzialmente meno la Teologia della Grazia, che è lo specifico dell’annuncio cristiano e della sua bellezza. Dio gratuitamente è disposto a donarci la sua stessa vita, a inserirla in noi e a fare della nostra anima il suo universo. Tutta la vita cristiana è nell’immagine evangelica della vite e dei tralci (Giovanni 15,1-9). Gesù non dice: se sarete a fianco a me; bensì: se sarete innestati in me. Se non si è in Grazia, si possono fare anche le cose più grandi di questo mondo, queste non verranno mai per la vita eterna. E invece se si è in Grazia, si possono fare anche le cose più banali di questo mondo, esse serviranno certamente per la vita eterna. Ebbene, questo chi lo dice più?

3

La fede che non si trasforma in cultura

La sostituzione del Cristo-persona con il Cristo-idea ha fatto sì che la fede non si trasformi più in giudizio per tutto il proprio umano, ovvero per la propria vita. Da qui il complesso di inferiorità culturale di tanti cattolici e anche l’uso di non fondare sulla fede il criterio della propria quotidianità.

4

La dimenticanza della serietà della vita e quindi del timore del giudizio

La sostituzione del Cristo-idea con il Cristo-persona ha trasformato l’amore interpersonale con Gesù in un’adesione intellettuale, da qui l’incapacità di capire che il destino di ogni uomo è nella fedeltà o meno all’amore di Dio e che questo amore è l’unica autentica aspirazione, persa la quale… non rimane che la disperazione e la dannazione.


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