APOLOGETICA RACCONTANDO – Una novella per il Giovedì Santo

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


Il Giovedì Santo del soldato Jean

E’ inutile sfuggire la realtà, soprattutto se questa rimanda alla propria povertà. L’esito di questo sfuggire sarebbe solo un’alienazione, uno smarrimento di sé per dimenticare la verità della propria vita.

Jean era stato un soldato semplice; ma tanti anni fa: adesso ne aveva più di settanta. Il suo corpo si era molto indebolito. Forse mancava poco alla morte. Quante battaglie per la gloria della Francia, ma soprattutto per quella di Napoleone. E lui si sentiva onorato di tutto… o quasi. Jean ricordava volentieri i suoi trascorsi. Ormai non ce la faceva più a lavorare la terra. La moglie, più giovane di lui, cercava di non farlo stancare provvedendo più del dovuto. Se non per lavorare, Jean in campagna ci andava volentieri e lì ricordava ancora di più. Ma non voleva ricordare tutto. Malgrado l’avesse sfiorata più volte nelle numerose battaglie, a Jean la morte faceva paura. Non per il fatto di dover finire o di dover soffrire, bensì per un altro motivo, un motivo che non aveva il coraggio di dire ad altri né di ricordare a se stesso. Spesso Jean si metteva seduto sotto un melo. Quando il sole era ben in alto e splendente, era gradevole beneficiare di quella ombra fresca. A Jean, strano a dirsi, piaceva guardare le galline. Un lato ancora infantile del suo animo? No, non era questo. Gli piaceva fissare quei volatili che lentamente si muovevano nell’aia senza una direzione precisa, che sembravano (ovviamente: sembravano) quasi infastiditi di quella ineliminabile indecisione. Jean in quello stupido comportamento ritrovava se stesso.

Un giorno, proprio quando era sotto il solito melo, si sentì chiamare: “Vecchio Jean, quando vi decidete a venire in Chiesa? Il tempo non è eterno.” Aveva parlato don Resmine, il parroco del vicino villaggio. Un tipo ch’era abituato a dire pane al pane e vino al vino. In realtà il curato passava spesso per quel sentiero di campagna, e quando lo faceva, trovava sempre l’occasione per strigliare il vecchio Jean. Questi si limitava a sorridere senza dare risposta, ma dentro di sé ogni volta era come se si aprisse una ferita. Il motivo lo sapeva solo lui… lo sapeva e cercava di allontanarne il pensiero.

Passarono alcuni anni e ormai Jean non aveva più la forza di stare in campagna e di perdere lo sguardo dietro le galline, né aveva più la forza di sorridere al curato quando questi gli rimproverava la sua trascurataggine religiosa. Adesso il vecchio Jean era costretto in un letto. Le gambe non gli funzionavano più. Si sentiva anche solo. La moglie, ancora arzilla, preferiva andare su e giù per l’aia piuttosto che fare compagnia al marito. I figli? Neanche a dirlo.

Accadde che un giorno nella sua camera vide entrare il curato che gli comunicò con voce squillante: “Jean, viene a trovarti la persona più grande che esiste!” “Non ditemi che siete voi?” Obiettò l’anziano. “No, è uno molto più importante.” Concluse don Resmine. Il curato uscì dalla stanza, poi rientrò immediatamente accompagnato da due chierichetti con le candele accese: aveva il Viatico. Jean fece una strana faccia, ancora una volta sentì riacutizzarsi quella specie di dolorosissima ferita. “Non sei contento, Jean?” Chiese il sacerdote con dolcezza, ma anche con evidente sorpresa. Il vecchio non rispose e grosse lacrime gli scorrevano sul volto. Il curato pensò che fosse la paura della morte; poi capì che c’era dell’altro. Lo capì perché fu stesso Jean a dirglielo in confessione. Si trattava di una bruttissima faccenda accaduta fuori della Francia, quando Jean era orgogliosamente un soldato di Napoleone. Era un Giovedì Santo. Nella piccola chiesa della campagna toscana la gente era tutta inginocchiata per adorare il Santissimo Sacramento riposto nel tabernacolo di rito con tutti gli onori. Lui entrò con altri soldati. Tutti fuggirono… o quasi. Il parroco rimase e si oppose a ciò che si stava facendo. Quel tabernacolo e quella pisside erano troppo belli e così pregiati; e il parroco cadde a terra con un proiettile in fronte perché aveva osato opporsi. Come caddero a terra tutte le ostie che erano nella pisside. Non era stato Jean a sparare, ma era stato lui, Jean, a non aver avuto il coraggio di opporsi né tantomeno di raccogliere e mettere al riparo tutte quelle ostie. Jean questa viltà la custodiva nel suo cuore. Adesso, paralizzato in quel letto, gli sembrava ancora più assurdo ciò che aveva fatto; o meglio: ciò che non aveva fatto. Adesso, in quella sua impotenza e fragilità, ritrovava se stesso e pensava: come sarebbe stato meglio reagire allora e forse non ridursi a reprimere la sua coscienza limitandosi a guardare le galline nell’aia. Questi pensieri gli frullavano e intanto don Resmine gli stava dando l’assoluzione.

Jean, immobilizzato al letto, aveva ormai da mesi perso la cognizione del tempo. Prima che il sacerdote prendesse l’ostia consacrata per dargliela, volle chiedergli: “Padre, che giorno è oggi?” “E’ Giovedì Santo!” Rispose il curato, soddisfatto per quella strana coincidenza, e con quello stesso tono deciso e generoso con cui per anni aveva invitato Jean a tornare alla “verità” della sua vita.  

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri

 


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