SOSTA – Non si mettono più al mondo bambini. C’entrano davvero i motivi che ci dicono?

In Italia mancano molte nascite all’appello. Si parla di oltre 12.000 bambini in meno negli utlimi anni.

La spiegazione? La paura per la pandemia trascorsa e i soliti problemi economici: redditi bassi, il non arrivare a fine mese, la precarietà del lavoro, la disoccupazione…

Ma è davvero così?

C’è un piccolo, ma importante, particolare della storia dell’arte, che riguarda la costruzione delle cattedrali medioevali. Queste non solo venivano edificate impiegando più generazioni, ma erano adornate fino all’inverosimile. Finanche le guglie più alte erano scolpite alla perfezione con decori che mai nessuno avrebbe potuto vedere, se non qualche piccione e ovviamente Dio che dall’ “alto” guarda tutto.

Che centra tutto questo con la denatalità contemporanea? Un po’ di pazienza e capirete.

Un tempo le condizioni economiche erano quelle ch’erano, così i disagi, così le fatiche (per dirne una: non c’erano i pannolini usa-e-getta), così le epidemie, eppure i figli si facevano eccome.

In Italia si è iniziata a riscontrare la denatalità proprio quando le condizioni economiche e sanitarie sono migliorate. Lo spartiacque è stato il boom economico degli inizi degli anni ’60. Quindi, le cause della denatalità sono altre. Precisamente una causa superficiale ed una più profonda.

La causa superficiale ci dice che il benessere, almeno che non si sia spiritualmente maturi, conduce all’egoismo, a chiudersi, a gestire sempre più “comodamente” la propria vita. Ovviamente ciò non significa che bisogna rinunciare al benessere economico tout-court, né che bisogna ambire ad antistorici e deliranti pauperismi; piuttosto che è da ricostruire il rapporto tra l’uomo e il suo esistere, e anche tra la famiglia e il suo esistere.

E qui c’è la causa profonda. Nei nostri tempi c’è stata una perversa alleanza di resa da parte di chi non doveva arrendersi. Si è arresa la cultura, proponendo un dissolutorio nichilismo. Si è arresa la Chiesa mettendo ai margini del suo Annuncio la Croce e appiattendo l’Annuncio stesso in un arido immanentismo, facendo sì che venisse meno quella maturità spirituale che sarebbe stata capace di governare e non farsi governare dal boom economico. Il risultato: un disorientamento esistenziale generale. Non si capisce più perché si vive; e quindi non si capisce nemmeno più perché ci si deve sacrificare; perché si devono mettere al mondo dei figli. Si è perso, insomma, il senso della Speranza.

Un tempo si piantavano i noci, alberi che crescono con una lentezza tediante. Lo si faceva comunque, affinché i figli o i nipoti ne potessero gustare i frutti. Oggi non si piantano più. Si piantano già grossi, con lo zollone, o si piantano i pini dell’Arizona che schizzano subito in alto. C’è, insomma, l’ansia di avere tutto e subito, perché si è inconsciamente convinti che oltre la vita non ci sia nulla.

Un tempo no. Un tempo addirittura si facevano le cose belle anche se non si potevano guardare: i decori sulle guglie delle cattedrali, come abbiamo detto prima. Ciò perché si aveva la certezza che tutto ciò che si faceva sarebbe stato riposto in Dio per poi ritrovarlo nell’eternità.

Un figlio lo ritroveremo nell’eternità? Certamente. E così vale qualsiasi sacrificio.


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