SOSTA: Per un cattolico riparare i peccati è un dovere

Le preghiere di riparazione ormai sono fuori moda. C’è perfino chi dice che possano essere segno di presunzione.

Nella prima apparizione del 13 maggio 1917 a Fatima, la Madonna chiese ai tre pastorelli «volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà inviarvi, in atto di riparazione per i peccati per i quali è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?».

L’Immacolata il 13 luglio 1917 chiede ai tre di sacrificarsi per i peccatori (anche il 13 agosto) e dice loro che verrà a chiedere «la Comunione riparatrice nei primi sabati».

Anche nelle precedenti apparizioni dell’Angelo (1916) viene detto ai veggenti «offrite costantemente all’Altissimo preghiere e sacrifici» e alla domanda su come sacrificarsi risponde «in tutti i modi possibili. Offrite a Dio un sacrificio in atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori». L’Angelo insegna anche una preghiera ai tre, oramai da molti conosciuta (“Trinità Santissima, Padre, Figlio e Spirito Santo, vi adoro profondamente …”), e anche lì si parla di «riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze con cui è offeso».

Da sempre nella Chiesa si prega in riparazione dei peccati e delle offese subìte da Nostro Signore e le parole della Madonna a Fatima hanno confermato la necessità e la “ortodossia” di questa pratica. E hanno anche confermato che non si prega solo per le proprie offese, ma anche -in generale o in particolare- per quelle operate da altri.

Riparare, d’altronde, significa ridare a Dio la gloria che gli viene tolta con il peccato, che, come la Vergine ha spiegato a Fatima, l’offende.

«Il peccato infatti è una vera ingiustizia, perché toglie a Dio una parte di quella gloria esterna a cui ha diritto; richiede quindi per giustizia una riparazione, che consisterà nel restituire a Dio, per quanto possiamo, l’onore e la gloria di cui l’abbiamo colpevolmente privato» (Tanquerey, Compendio di ascetica e mistica, n. 736)

Pio XI nell’Enciclica Miserentissimus Redemptor (8.5.1928) oltre a spiegare la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, insiste sul dovere della riparazione:

«(…) se nella consacrazione primeggia l’intento di ricambiare l’amore del Creatore con l’amore della creatura, ne segue naturalmente un altro, che dello stesso Amore increato, quando sia o per dimenticanza trascurato o per offesa amareggiato, si debbano risarcire gli oltraggi in qualsiasi modo recatigli; il qual dovere comunemente chiamiamo col nome di riparazione. Se all’uno e all’altro dovere siamo obbligati per le stesse ragioni, al debito particolarmente della riparazione siamo tenuti da un più potente motivo di giustizia e di amore: di giustizia, per espiare l’offesa recata a Dio con le nostre colpe e ristabilire, con la penitenza, l’ordine violato; di amore, per patire insieme con Cristo paziente e «saturato di obbrobri» e recargli, secondo la nostra pochezza, qualche conforto».

Tanto è importante la pratica della riparazione, che Pio XI al termine dell’Enciclica citata ci ha lasciato proprio un atto di riparazione al Sacratissimo Cuore di Gesù, in cui si evidenzia anche che si deve offrire la riparazione «non solo dei peccati commessi da noi, ma anche di quelli di coloro che, errando, ricusano di seguire Te come pastore e guida ostinandosi nella loro infedeltà, o calpestando le promesse del Battesimo hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge».


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