SELEZIONE CATTOLICA – Addio al Mistero e all’uomo metafisico: è il positivismo (lanuovabq.it)

di Giovanni Fighera –

La diffusione del nuovo approccio gnoseologico e culturale positivista avviene negli anni in cui lo scienziato Charles Darwin (1809-1892) pubblica L’origine della specie (1859) e il filosofo Herbert Spencer (1820-1893) contribuisce alla nascita della psicologia moderna con l’Introduzione alla psicologia sperimentale (1865). Il fisiologo francese Claude Bernard (1813-1878) influisce non poco all’avvento della medicina sperimentale, così come il filosofo August Comte (1798-1857) diviene padre della sociologia moderna. Di nuovo, come nell’epoca illuministica, l’uomo si convince di avere rivoluzionato il mondo della cultura. Con una perfetta consonanza rispetto agli illuministi, anche i positivisti aprono la strada di una nuova religione, quella del Progresso e dell’Umanità.

I cardini di questo paradigma culturale si possono così sintetizzare nei seguenti aspetti salienti. In primis, un marcato materialismo, secondo il quale ha valore solo ciò che è concreto, visibile, materiale e può essere colto dai sensi umani. Consegue una visione deterministica dell’uomo e della realtà, secondo la quale ogni effetto può essere fatto risalire ad una causa organica e, viceversa, ad ogni causa organica corrisponde una conseguenza necessaria, dunque ineluttabile. Quindi, una persona, se nasce in un certo ambiente, non ha per sé la possibilità di migliorare. Il positivismo è altresì caratterizzato dallo scientismo consistente in una fiducia illimitata nella scienza, indicata profeticamente come «vera salvezza dell’umanità» e da un ottimismo illimitato derivato dalle infinite possibilità di evoluzione della scienza.

Senza dilungarci troppo nell’analisi è bene sottolineare almeno un paio di aporie in questo tipo di approccio alla cultura.

In primo luogo, in ogni disciplina il metodo è suggerito dall’oggetto di studio proprio della disciplina stessa, non può essere imposto dal soggetto in maniera aprioristica a prescindere dalla materia presa in considerazione. Il metodo della letteratura sarà determinato dalle opere letterarie, quello della fisica dall’osservazione e dallo studio della natura, quello della storia dai fatti ricostruiti a partire dai documenti diretti e indiretti pervenuti. Il Positivismo vuole, invece, imporre un metodo unico a tutti gli ambiti dello scibile umano.

In secondo luogo, è evidente che, in una simile prospettiva culturale, nella considerazione della persona vengono sottovalutate o del tutto ignorate la libertà e la storia individuale (costituita ad esempio da incontri ed eventi); in poche parole, dati un ambiente sociale e dei cromosomi, l’uomo sarebbe, per i positivisti, stabilito in maniera deterministica.

In terra francese il paradigma positivista porterà alla nascita del movimento letterario del naturalismo. Il termine compare per la prima volta nel 1858 in un saggio di Hippolyte Taine dedicato a Honore de Balzac. Nel 1865 i fratelli Edmond e Jules de Goncourt scrivono Germinie Lacerteux, mentre nel 1867 Émile Zola pubblica Therese Raquin.

Nella «Prefazione» a Germinie Lacerteux gli autori scrivono: «Oggi che il romanzo si estende e s’ingrandisce e comincia a essere la grande forma seria, appassionata, viva, dello studio letterario e della ricerca sociale, […] ora che il romanzo si è imposto agli studi e i doveri delle scienze, può rivendicare la libertà e l’indipendenza. E il fatto che esso ricerchi l’arte e la verità; che mostri delle miserie capaci di non essere più dimenticate dai fortunati di Parigi; […] il Romanzo abbia quella religione che il secolo scorso chiamava col nome grande e vasto di Umanità; gli basta: questo è il suo diritto».

I fratelli de Goncourt rivendicano la libertà dal Mistero ovvero da Dio. Questa concezione di libertà comporta, però, la riduzione in schiavitù nei confronti del potere, ovvero della cultura egemone, a quel tempo quella positivista. L’arte si subordina così alla sociologia e agli schemi ideologici dominanti.

Nella «Prefazione» alla seconda edizione di Therese Raquin Émile Zola scrive: «Si comincerà a capire, spero, che il mio scopo è stato essenzialmente scientifico […]. Si legga il romanzo con attenzione, e si vedrà che ogni capitolo è lo studio di uno strano caso di fisiologia […]. Lo scrittore si comporta come un analista che si può immergere nel marciume umano […]. come succede ad un medico davanti ad un tavolo anatomico […]. Voglio spiegare come una famiglia, un piccolo gruppo di esseri, si comporti in una società».

Rifacendosi al saggio La medicina sperimentale di Claude Bernard, Zola scrive, poi, Il romanzo sperimentale (1880) in cui auspica il definitivo affrancamento dell’uomo dall’ambito del mistero e del senso religioso. Progresso coincide per lui con la delimitazione dell’ignoto in nome del conoscibile, scientifico significa dimostrabile scientificamente, ovvero secondo il paradigma positivista riproducibile dalle mani dell’uomo, come se tutto ciò che esiste possa essere riprodotto, come se smontare e comprendere i meccanismi voglia dire, a sua volta, poter creare.

Se l’uomo si affranca dal Mistero, allora ogni ambito che si ritenga serio dovrà affrancarsi dal soprannaturale, anche la filosofia e la letteratura. È questa la libertà a cui pensano i positivisti, la libertà dalla schiavitù della «superstizione cristiana». Del resto, l’idolo polemico di Émile Zola è lo scrittore idealista, per intenderci un autore come Manzoni, che ammette l’esistenza dell’ignoto e del Mistero nelle proprie pagine letterarie. Il romanziere moderno sarà, all’opposto, sperimentale, ovvero interessato a descrivere solo quanto è scientificamente dimostrato (ovvero secondo la logica razionalista).

L’aporia non risiede, qui, nel non dar spazio a ciò che non si vede, ma nel censurare del tutto ciò che si vede e non si capisce. Anche la narrativa dovrà diventare come tutte le discipline che aspirano ad essere scientifiche: «Quando avremo provato che il corpo dell’uomo è una macchina di cui un giorno si potranno smontare e rimontare gli ingranaggi a piacimento dello sperimentatore, si dovrà ben passare alle manifestazioni passionali ed intellettuali dell’uomo. Da quel momento entreremo nel dominio che, fino ad ora, apparteneva alla filosofia ed alla letteratura; sarà la conquista decisiva, da parte della scienza, delle ipotesi dei filosofi e degli scrittori». Così,

sui sentimenti più caratterizzanti l’uomo Zola scrive: «L’uomo metafisico è morto ed il nostro terreno si trasforma interamente con l’uomo fisiologico. Indubbiamente l’ira di Achille, l’amore di Didone sono rappresentazioni eternamente belle, ma ora dobbiamo analizzare l’ira e l’amore e vedere propriamente come funzionano queste passioni nell’uomo […]. Il metodo sperimentale, nelle lettere come nelle scienze, si avvia a determinare i fenomeni naturali, individuali e sociali, di cui la metafisica non aveva dato fino a questo punto che spiegazioni irrazionali e soprannaturali». Evidentemente non solo la concezione dell’arte esce profondamente ridotta e svalutata da queste affermazioni. Una grande parte della sfera dell’umano è trascurata o censurata, è l’uomo stesso che viene degradato al livello di tutti gli altri esseri viventi, per cui il suo pensiero, il suo credo, i suoi sentimenti sono ridotti a meccanismi chimico-fisiologici.

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