SELEZIONE CATTOLICA – Visto l’Olanda? L’effetto Erdogan c’è stato. Ma contro Wilders

Dutch Prime Minister Mark Rutte, left, and PVV party leader Geert Wilders, right, wait to take their turn in the closing debate at parliament in The Hague, Netherlands, Tuesday, March 14, 2017. Amid unprecedented international attention, the Dutch go to the polls Wednesday in a parliamentary election that is seen as a bellwether for the future of populism in a year of crucial votes in Europe. (Phil Nijhuis HH POOL via AP)

fonte: blog.ilgiornale.it –

Ora si sprecano le interpretazioni sul voto in Olanda, dove il centrodestra ha vinto e il candidato antiestablishment Wilders ha ottenuto meno voti del previsto. In termini di comunicazione e di strategie elettorali, l’analisi è piuttosto semplice, benchè, a prima vista, paradossale. A favorire questo risultato è stata la crisi con il premier turco Erdogan.

Immagino la reazione del lettore: ma come? Tutti dicevano che la polemica con il governo turco avrebbe favorito Wilders… Infatti questo suggeriva il ragionamento più immediato. Della serie: la Turchia e gli islamici mostrano la loro arroganza. Dunque Wilders ha ragione, dunque gli elettori lo voteranno in massa.
E invece non funziona così. Come accennavo in un tweet qualche giorno fa, è stato il premier uscente Rutte a capitalizzare l’effetto Erdogan per due ragioni. La prima: è stato il suo governo a vietare ai ministri turchi la possibilità di fare un comizio in piazza a Rotterdam e a tenere il punto con fermezza. Il messaggio lanciato agli elettori era esplicito: vedete? Non è solo Wilders a opporsi all’Islam più estremo, quando si supera il segno ANCHE noi abbiamo gli attributi.

La seconda ragione riguarda lo spirito di un popolo. Quello olandese tende all’unione nei momenti difficili, quando c’è da fare dei sacrifici accantona le differenze. Come spiega Andrea Nicastro sul Corriere della Sera, il cosiddetto polder model ovvero la necessità di collaborare tra comunità diverse per mantenere aperti i canali di drenaggio e le pompe che impediscono al mare di riconquistare spazio. «Senza il pragmatico sforzo collettivo dei suoi abitanti, i Paesi Bassi oggi avrebbero una superficie pari alla metà di quella che hanno», ha ricordato Rutte.

E nell’impeto della polemica con Ankara molti elettori hanno privilegiato – da veri olandesi – la solidarietà con un premier che, seppur geneticamente scialbo, forse per la prima volta in vita sua ha mostrato coraggio e fermezza nel difendere i valori del Paese di fronte all’arroganza dei turchi. Dunque chi fino a una settimana fa pareva intenzionato a votare per Wilders, all’ultimo minuto ha scelto Rutte.

Tutti fenomeni, naturalmente, che i sondaggi hanno avuto difficoltà a cogliere; a conferma che, nell’epoca ell’elettore liquido e dei social media, questi non sono più gli strumenti migliori per cogliere le tendenze elettorali.

A livello globale questo risultato segna, ovviamente, una battuta d’arresto dei movimenti antiélite, dopo tre vittorie travolgenti in occasione della Brexit, dell’elezione di Trump e del successo del no al referendum costituzionale in Italia. Una battuta d’arresto, non certo la fine. Perché le ragioni che inducono milioni di elettori in tutto il mondo occidentale a cercare risposte alternative restano intatte. Quel disagio è profondo e senza soluzioni concrete esploderà di nuovo. In un’Olanda dove la disoccupazione è sotto il 5% e con un Pil al 2%, la rabbia degli elettori era evidentemente meno intensa che altrove, e la crescente popolarità di un leader come Wilders era motivata soprattutto dalla sfiducia nei confronti della Ue e dalla paura per l’immigrazione islamica.

Se non si fosse messo di mezzo Erdogan, in extremis, il risultato sarebbe stato meno confortante per l’establishment.

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