SOSTA – Una lezione dallo sport: solo nella natura umana la donna è ancora più donna e il maschio ancora più maschio

Lo sport non si riesce ad adattare al “politicamente corretto”. E’ un fatto, è incontestabile.

Di esempi se ne potrebbero fare tantissimi, ma quello più facile riguarda il gusto. Prendiamo il gioco del calcio. Ebbene, immaginiamo che ci venga offerta questa alternativa: vedere il cosiddetto “clasico” Real Madrid-Barcellona in versione maschile oppure vederlo in versione femminile. A meno che non ci attiri il semplice correre di un pallone su un campo verde, la risposta dovrebbe essere più che scontata. Ma -oserei dire- sarebbe scontata la risposta anche se al posto della versione maschile del Real e Barca ci fossero invece due modeste squadre della Serie D italiana.

Questi sono fatti e le teorie lasciamole da parte.

Ma c’è un’altra riflessione da fare, proprio partendo da ciò che abbiamo detto finora.

Ovvero che questo avviene nel mondo umano, ma non necessariamente in quello animale. Prendiamo l’ippica. Non è raro che ci siano cavalli femmine più veloci di quelli maschi. Basterebbe ricordarsi della leggendaria  Zenyatta, per esempio.

Questo cosa vuol dire? Che la femminilità, che già si scorge nel mondo animale, diviene ancora più evidente in quello umano, perché, nella natura umana, si esprime in un corpo che non è fine a se stesso, ma parte integrante di una realtà personale in cui è presente anche la componente spirituale.

Insomma, che-che ne dicano i “genderisti”, nella natura umana la donna è ancora più donna e il maschio è ancora più maschio.


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