Conosci l’utilità e la bellezza dell’orazione carmelitana?

di don Lorenzo Biselx (da La Tradizione Cattolica, n.120)

In mezzo al baratro (attuale) molte persone cominciano a capire che la soluzione di tutti i problemi si trova soltanto in Dio, fonte di ogni bene.

La dottrina cristiana ricorda l’importanza della virtù della prudenza che permette di prendere delle decisioni ragionevoli (e non passionali) alla luce della fede, dopo aver chiesto autorevoli consigli.

In più, la spiritualità cattolica classica ci insegna il potere anagogico (dal verbo greco an-ago, cioè far salire) delle tre virtù teologali. Con gli atti di fede, speranza e carità, l’anima si eleva al di sopra delle cose terrene per unirsi, tramite atti soprannaturali, al suo divin Creatore e Salvatore. Come la colomba, con il suo volo, scappa dalle insidie della volpe, così l’anima, con gli atti teologali, si alza fino al Cielo della protezione e della pace divina.

L’orazione carmelitana appare come un ottimo paio d’ali per produrre gli atti della vita soprannaturale.

Da sant’Ignazio a santa Teresa

Però, direte: “Perché mai l’orazione carmelitana?”

(…)

La diversità delle spiritualità cattoliche (tutte però fondamentalmente unite nei grandi principi) è stata voluta da Dio. Perché Dio sa bene che gli uomini sono diversi.

Tutti devono camminare sulle orme di Gesù, ma il modo di questa sequela Christi ammette una grande diversità che appare come una bella polifonia alla gloria di Dio.

(…)

Le anime cristiane possono scegliere con la massima libertà dei figli di Dio tra questi due (ed altri) metodi. Tanto più che, piano piano, con la propria esperienza, l’anima elaborerà il suo metodo personale di orazione.

Padre Gabriele di santa Maria Maddalena de’ Pazzi

Per spiegare l’orazione carmelitana, dobbiamo risalire ai due celebri fondatori della Riforma carmelitana nel secolo XVI: santa Teresa (1515-1582) e san Giovanni della Croce (1542-1591).

Per semplificare il discorso scegliamo come guida sicura uno dei loro maggiori eredi ed interpreti: il padre Gabriele di santa Maria Maddalena de’ Pazzi, che vogliamo brevemente presentare. Nato in Belgio nel 1893, Adriano De Vos, entrò nel noviziato carmelitano di Bruges all’età di 17 anni. Nel 1914 emise la professione solenne. Durante la Prima Guerra Mondiale fu ferito due volte nel compimento della sua missione di servizio sanitario. Nel 1919 fu ordinato sacerdote a Gand, prima di diventare professore di filosofia. Dopo gli studi all’Università di Lovanio e all’Angelicum di Roma, diventò professore di dommatica e poi di teologia spirituale. Nell’ultimo decennio della sua vita, fu un ardente propagatore, tra religiosi e laici, della spiritualità carmelitana, soprattutto in Italia. Dopo la sua improvvisa morte il 15 marzo 1953, il suo corpo riposa nel monastero di San Giuseppe a Roma.

Orazione: definizione

La parola “orazione” viene dal latino oratio: parola, discorso (da os: “la bocca”). Nella lingua dei primi cristiani, oratio assume anche il senso di preghiera.

Studiamo adesso la dottrina dell’orazione ricorrendo alle luminose spiegazioni del padre Gabriele (ci riferiamo soprattutto al suo aureo Piccolo Catechismo della vita di orazione e al suo libro Unione con Dio).

Perchè l’orazione? Per rispondere alla domanda, dobbiamo riflettere sulla vita cristiana. E’ una vita nella quale cerchiamo di vivere in conformità al nostro battesimo e agli insegnamenti di Gesù.

Il cristiano vive per Dio. C’è una forma superiore di vita cristiana che chiamiamo vita contemplativa. E’ una vita per Dio e con Dio. Essa è certo facilitata dal chiostro, ma può essere benissimo anche vissuta dai laici nel mondo. Si concentra nella ricerca dell’intimità con Dio e l’orazione occupa il primo posto in questa vita di unione intima con il nostro Creatore e Redentore.

Ma più precisamente cos’è l’orazione? “E’ una conversazione con Dio, in cui gli manifestiamo i desideri del nostro cuore” (Padre Gabriele, Piccolo Catechismo della vita di orazione, Roma, Monastero S.Giuseppe, 1981, p.9). Può essere vocale quando recitiamo una formula, come il Pater noster o gli atti di fede, speranza e carità. Può essere mentale quando parliamo a Dio con il cuore, senza formula, spontaneamente.

Orazione carmelitana

Secondo santa Teresa, l’orazione è un “intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’esser amati” (Vita di santa Teresa di Gesù scritta da lei stessa).

Questa definizione famosa ha ispirato il grande teologo della dottrina teresiana, san Giovanni della Croce, che scrive: “Lo scopo della meditazione e del discorso sulle verità divine è quello di ricavare una qualche notizia e un po’ di amore di Dio.” (Salita del Monte Carmelo)  .

Vediamo chiaramente che, nell’orazione carmelitana, il ragionamento è sempre sottomesso ed ordinato all’amore. Per dire come santa Teresa, “L’essenziale non è già nel molto pensare, ma nel molto amare” (Castello interiore, IV,1,7). La Santa ha capito in modo profondissimo che la regina delle virtù non è la fede, pur assolutamente necessaria alla salvezza, ma la carità. San Paolo lo insegna infallibilmente: “Ora poi restano la fede, la speranza, la carità, queste tre cose: la più grande però di queste è la carità” (1 Corinti 13,13).

Metodo di meditazione dei carmelitani

I maestri spirituali e i teologi del Carmelo riformato hanno voluto rendere più facilmente comprensibile questa dottrina dei due fondatori, distinguendo le varie parti dell’orazione.

Proposero un metodo semplice di orazione che, ben accolto nei vari conventi, fu poi inserito nella prima Istruzione dei novizi.

Benché non sappiamo se questo metodo sia uscito direttamente dalla penna di san Giovanni della Croce, siamo nondimeno certi che il Santo lo approvò.

Entriamo adesso nel dettaglio della meditazione affettiva, seguendo questo metodo divenuto classico nel Carmelo e tra gli amici della spiritualità teresiana.

Distinguiamo sette parti: la preparazione, la lettura, la meditazione, il colloquio (conversazione), il ringraziamento, l’offerta e la domanda.

le due prime parti sono una introduzione destinata a disporre l’anima alla meditazione.

Le tre ultime sono un complemento, facoltativo, che può essere utile per prolungare il colloquio dell’anima con il suo amato Dio.

la sostanza dell’orazione sta nella conversazione, imbevuta di carità, con Dio. Chi vuole iniziare un dialogo con un amico deve rivolgersi a lui, organizzare un incontro con lui. Così la preparazione dell’orazione consiste nel prendere contatto con l’Amico divino, nel mettersi alla sua presenza. Lo si può cercare nel Tabernacolo, Tempio del verbo incarnato o nel proprio cuore, dimora della santissima Trinità.

Esempio di orazione

Concretamente, facciamo un esempio.

desideriamo fare orazione sul mistero della crocifissione di nostro Signore. Come procedere? Leggiamo nei Santi Vangeli la descrizione di quel momento terribile e sublime, adeguatissimo a suscitare nella nostra anima un amore più forte verso il nostro dolcissimo Salvatore. Illuminati da questa pia lettura, raccogliamo i nostri pensieri per produrre un bell’atto di fede nella divina Persona del Figlio eterno che si degna, tramite la sua grazia santificante, abitare nella povera capanna della nostra anima. Poi consideriamo il mistero della crocifissione. Per agevolare questa riflessione, possiamo contemplare il crocifisso o qualche bel quadro che lo rappresenta. (…): Possiamo anche farcene una rappresentazione puramente interiore tramite la sola facoltà della nostra immaginazione (è ciò che sant’Ignazio chiama “composizione di luogo”).

Il dottore del Carmelo ci consiglia, in questo lavoro, di non impiegare troppo tempo: basta uno sguardo generico, senza entrare nei minimi dettagli, che permetta di fissare l’immaginazione per facilitare la considerazione dell’intelligenza.

Quest’ultima è molto importante e bisogna darle il tempo necessario per stampare nella nostra mente la forte convinzione che il divin Salvatore ci ama e aspetta il nostro amore.

L’orazione è tutta indirizzata a farci mettere in pratica il “più grande dei comandamenti” (Matteo 22,37-38) (…).

Aiuto: lo schema di domande

Per aiutarci a considerare con amore la crocifissione, possiamo utilizzare il breve schema di domande del quale ci parlano, a proposito della flagellazione, sia santa Teresa che san Giovanni della Croce. Chi è colui che soffre? La seconda Persona della Trinità soffre per me. Dio, incarnato per la mia salvezza, soffre per me. Che cosa soffre? Soffre il terribile dolore di questi enormi chiodi che trapassano le sue sacre mani e si suoi sacri piedi. Perché soffre? Orribilmente inchiodato alla terribile croce, Gesù desidera espiare i miei peccati di disobbedienza ai suoi comandamenti, i miei abusi di una libertà che mi ha regalata per compiere la sua santa volontà e che, pazzamente, ho utilizzata per peccare. Soffre anche per darmi l’esempio della pazienza, affinché anch’io sappia soffrire qualcosa per lui. In che modo soffre? Come “agnello condotto al macello”, adempiendo la profezia di Isaia che lo contemplava in anticipo: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca” (Isaia, 53,7). Egli accetta volontariamente questi atroci dolori perché vuole soffrire per noi, espiare i nostri peccati e mostrarci l’esempio della pazienza nelle avversità. Oh, quanto ci ama! L’amore chiama amore: meditando la sublimità di quell’amore divino, l’anima si sente spinta a slanciarsi verso l’amato per rendere amore per amore.

Colloquio d’amore con Dio

Con spontaneità, l’anima vuole esprimere all’Amato il suo amore: “Oh, mio Dio, mi hai dato, con la tua crocifissione, la prova massima del tuo amore per me; anch’io voglio amarti, mi accorgo che la mia carità è così fredda, così debole, aiutami ad amarti sempre di più, dammi tante grazie di fedeltà al tuo amore. Ti ringrazio di avermi mostrato nelle tue sante piaghe la fonte sacratissima dell’oceano della grazia. Nella piaga del tuo cuore, mi mostri la “fornace ardente di carità” (litanie del Sacro Cuore di Gesù). Oh mio Dio, non voglio amarti soltanto a parole, ma anche in opere:: voglio fare in tutto la tua santissima volontà, voglio essere tutto tuo.” Tali parole di amore si possono moltiplicare, anche pronunziandole con le labbra. Esse aiutano l’anima a stabilirsi progressivamente in un tranquillo ma intenso movimento interiore di amore a Dio. Così, l’orazione diventa sempre più vera conversazione con Dio. L’anima parla a Dio e Dio parla con l’anima. Non le fa sentire una voce sensi9bile, ma insegna all’anima la Sua grandezza e la necessità per l’anima di amarlo più di tutto. Dio muove efficacemente questa anima ad amarlo.

la muove ad un amore non solo affettivo, ma effettivo; un amore che trasfigura la vita intera dell’anima.

Quest’amore non avrà niente di una pia finzione immaginativa o di una vana ricerca di “gustispirituali”. Santa è chiara: “L’amore di Dio non sta nei gusti spirituali, ma nell’essere fermamente risolute a contentarlo in ogni cosa, nel fare ogni sforzo per non offenderlo, nel pregare per l’accrescimento dell’onore e della gloria di suo Figlio e per l’esaltazione della Chiesa cattolica.” (Castello interiore, IV,1,7).

Ecco, secondo san Giovanni della Croce, la vera finalità dell’orazione: “lo scopo della meditazione sulle cose divine è di ricavarne un po’ di conoscenza amorosa per Dio” (Salita del monte Carmelo, II,14,2).

Introduzione: preparazione e lettura

Dopo questo esempio concreto di meditazione e colloquio a proposito della Crocifissione, ci sia permesso di ritornare alla parte introduttiva (facoltativa).

La preparazione consiste nel mettersi alla presenza di Dio tramite il semplice ed umile sguardo di un’anima che, con viva fede, si riconosce vera figlia di Dio.

A proposito della lettura, si tratta di scegliere un tema di orazione che possiamo attingere da un libro di meditazioni, come, per esempio, Intimità divina, del padre Gabriele.

Lo possiamo ovviamente anche ricavare nella Sacra Bibbia, soprattutto nei santi Vangeli o nelle Epistole. Oppure ci possiamo rivolgere alla divina Liturgia; qui il Messalino ci può aiutare molto: i testi della Santa Messa (ordinario e proprio) sono una squisita miniera spirituale. Tutti i libri di buona spiritualità, soprattutto gli scritti dei santi, ci possono presentare preziosi punti di meditazione.

Ultime parti: ringraziamento

Per quanto riguarda le ultime tre parti dell’orazione (complementari e facoltative), sono previste dal metodo carmelitano per venire incontro alle difficoltà dell’anima che, esercitandosi all’orazione affettiva, trova una certa difficoltà a ripetere pensieri d’amore a Dio.

Innanzitutto, quest’anima deve pensare che Dio non si stanca mai di sentirci ripetere che lo amiamo e vogliamo amarlo meglio. Però quest’anima può avere bisogno di un po’ di varietà per poter nutrire la sua conversazione con il dolce Signore suo. Ecco, dunque, la grande utilità delle tre ultime parti.

Riprendiamo l’esempio della Crocifissione. Dopo aver contemplato Gesù crocifisso, moltiplicando le espressioni di amore, l’anima si sentirà spinta ad aggiungere agli atti di affetto quelli di gratitudine. Il ringraziamento si estenderà poi a tutti i frutti della Santa Croce, scala unica del Paradiso. La Santa Croce di Gesù, con i suoi meriti infiniti, si applica meravigliosamente alla nostra anima dal battesimo all’estrema unzione.

Comunicandoci la grazia santificante, ha fatto di noi poveri grani di sabbia dei figli di Dio, “partecipi della natura divina” (2 Pietro 1,4).

Davanti a tanta ricchezza, ci viene la voglia di esclamare con san Leone: “O Christiane, agnosce dignitatem tuam , abbi coscienza, o cristiano, della tua dignità. (…) Ricordati di quale Capo e di quale mistico Corpo tu sia membro. Ripensa al fatto della tua liberazione dalla potenza delle tenebre e del tuo trasferimento nella luce e nel Regno di Dio.” (Sermo de Nativitate)

Ultime parti: offerta e domanda

Il ringraziamento porterà spontaneamente l’anima all’offerta di se stessa per il servizio di Dio.

Se Gesù ha dato la propria vita per me, non devo anch’io rinunciare a qualcosa per Lui?

L’anima si sforzwerà di offrire generosamente la penitenza della sua giornata di lavoro, si deciderà a rimuovere gli ostacoli che la tengono inceppata, si disporrà a meglio accettare le croci e a sacrificare il suo amor proprio che la fa mancare facilmente alla carità verso il prossimo.

L’ultima parte dell’orazione appare così molto evidente. Sapendo che Gesù ha detto: “Senza di me non potete far nulla.” (Giovanni 15,5)., capiamo che dobbiamo bussare alla porta del Signore, supplicandolo umilmente di aiutarci, di fortificarci di fronte alle tentazioni, soprattutto quella, insidiosa, dello scoraggiamento.

Oh Gesù, aiutami a pregare, a far orazione tutti i giorni con costanza, dammi la santa perseveranza nella grazia nella grazia e nelle virtù teologali; a questa perseveranza, hai promesso nientemeno della salvezza terna: “chi persevererà sino alla fine sarà salvato.” (Matteo 10,22).

L’anima orante potrà trattenersi nelle pie domande, secondo lo spirito del Pater noster nel quale abbiamo   l’archetipo delle domande che Dio aspetta dalle sue amate creature, chiedendo molte grazie per se stessa, per le persone care, per i peccatori, per i defunti, per la Santa Chiesa. Immersa nell’oceano dell’amore divino, l’anima si rivolge fiduciosa a Dio con immensa cionfidenza, sicura del suo aiuto misericordioso.

Orazione e vita cristiana

L’orazione carmelitana si apre così alle necessità del mondo.

Non è per niente un caso se santa Teresina di Lisieux, illustre figlia di santa Teresa d’Avila, è stata proclamata da Pio XI patrona delle missioni alla pari con san Francesco Saverio, allorché non ha mai varcato le mura del suo amato Carmelo.

La vita di orazione è davvero “l’anima di ogni apostolato” per riprendere il titolo di un magnifico libro del trappista francese Dom Chautard.

La contemplazione cattolica non è un puro sforzo di riflessione e di concentrazione naturale, né una specie di esaltazione “illuminista”. E’ un esercizio di conoscenza amorosa di Dio, il filiale colloquio di un anima con Dio Amore infinito, al quale si rivolge per rendergli, con tutte le sue forze, amore per amore.

Lo spirito di sacrificio è indispensabile al vero amore. Quindi l’orazione deve accompagnarsi alla mortificazione, cioè alla pratica, proporzionate alle proprie forze, della penitenza che, indebolendo le tendenze cattive, fortifica la volontà e la rende più atta al servizio del Divin Re d’Amore. Lo ricordava santa Teresa quando insegnava alle sue figlie che “orazione e trattamento delicato non vanno d’accordo.” (Cammino di perfezione 4,2).

Orazione per tutti

Santa Teresa ci invita tutti alla benefica pratica dell’orazione: “Quanto a coloro che non hanno ancora cominciato (a fare orazione), li scongiuro, per amore di Dio, di non privarsi di un tanto bene. Qui non vi è nulla da temere, ma tutto da desiderare.” (Vita 8,5).

Questa “medicina” dell’orazione è garantita senza nessun “effetto secondario” nocivo. L’orazione, secondo la Santa, è un ottimo mezzo per “imparare il cammino del cielo” (Vita 8,5).

La grande mistica si stupisce difatti che l’orazione non sia abbastanza praticata: “non capisco perché molti non osino applicarsi all’orazione mentale, né di che abbiano paura. E’ il demonio che l’ispira (questa paura).” (Vita 8,7).

Però ci vuole perseveranza, malgrado le aridità e le tentazioni di scoraggiamento.

(…)

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri 


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