Due questioni sulla Confessione …ahinoi! Tutt’altro che inattuali

di Pierfrancesco Nardini 


Abbiamo già affrontato altre volte il tema della Confessione, ma ci torniamo per l’importanza di questo Sacramento.

Ci sono due concetti da contestare con fermezza: quello per cui prima della Confessione c’è un precedente stadio del pentimento, che è quello personale, privato, di fronte a Dio e, soprattutto, che già con questo primo passaggio ci si può avvicinare alla Comunione. E quello che i peccati mortali sono tutti uguali tra loro.

Posiamo l’attenzione sulla prima delle due questioni.

Si teme che alla base di un’eventuale simile affermazione possa esserci la mancanza di preparazione o, addirittura, il non credere ad un Sacramento esplicitamente istituito da Gesù.

Quale che ne sia la motivazione, quel che conta è l’effetto che potrebbe avere sul fedele, soprattutto se persona semplice e poco preparata in materia. Potrebbe indurlo infatti a credere di poter ricevere la Comunione anche se non ha confessato un peccato mortale.

Un’eventuale successiva aggiunta che poi ci si deve comunque confessare sarebbe inutile: se si afferma, infatti, che già con il primo pentimento ci si può avvicinare alla Comunione, automaticamente si pensa e si fa pensare che la Confessione non serve o, come minimo, che sia utile, ma non decisiva. Si fa comunque correre il rischio al fedele di comunicarsi in peccato mortale. Cosa che difficilmente verrà sentita come grave e accusata nella Confessione fatta successivamente, per le ragioni suddette.

Due più due fa quattro.

Quanto appena evidenziato è in esatto contrasto con quel che da sempre insegna la Chiesa: la necessità della Confessione prima di potersi avvicinare alla Comunione, se si è in peccato mortale.

È vero che prima di confessarsi c’è già stato un pentimento interno al fedele: è il motivo per cui si entra nel confessionale. Senza quel pentimento non se ne sentirebbe il bisogno.

Questo però non basta.

Per poter ricevere bene la Comunione si deve essere in stato di grazia, che significa avere l’anima senza peccati mortali.

L’unico modo che abbiamo per poter tornare in stato di grazia è la Confessione.

Questi sono due concetti chiari, anche molto semplici. E, soprattutto, da credere come verità rivelata!

Le parole di Cristo sono inequivocabili: «a chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi (…)» (Gv 20, 22). I peccati possono essere lavati solo se lo faranno gli Apostoli, e quindi i loro successori. Con la Confessione, da Lui istituita (semmai qualcuno lo dimentichi…).

San Paolo lo spiega in modo chiaro: «chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente, si rende colpevole del Corpo e del Sangue del Signore (…); si mangia e si beve la propria condanna» (1Cor 11, 27-29).

Se non bastassero le parole di Cristo e della Sacra Scrittura, c’è l’indiscutibile, continua ed univoca spiegazione di questi versetti di San Paolo da parte del Magistero nel senso di un vero e proprio sacrilegio. Ed anche nel senso che prendere la Comunione in stato di peccato grave sarebbe un ulteriore peccato mortale.

Un paio di esempi su tutti. Pochi ma importantissimi.

Lo ha insegnato il Concilio di Trento (Sess. 13, c. 7 e can. 11), tra l’altro in modo infallibile, quindi da credere come verità di fede, se ancora non si ritenesse di doverlo fare per le parole di Gesù.

Lo ha ribadito San Pio X nel suo famoso Catechismo (n. 335).

A scanso di “equivoci preconciliari”, si nota che è insegnato anche in quello attuale (n. 1385; cf. anche n. 291 Compendio).

Vi è poi anche una ragione logica: non avrebbe avuto senso l’istituzione del Sacramento della Confessione da parte di Cristo se poi questa non è necessaria per potersi avvicinare alla Comunione in caso di peccato mortale.

Le uniche situazioni in cui è scusata la Comunione in peccato mortale sono quelle della dimenticanza e della mancanza di piena avvertenza da parte del fedele, che ha però almeno il dolore generico anche se imperfetto dei peccati, così che non si avvicina a N.S. coscientemente in peccato mortale.

Questo non toglie però il preciso e urgentissimo obbligo per quel fedele di confessarsi quanto prima nel momento in cui gli torna in mente il peccato mortale non confessato.

Non si può, quindi, in nessun modo sminuire l’importanza della Confessione. Men che meno si può affermare che si possa prendere la Comunione in peccato mortale prima della Confessione, attribuendo l’effetto di questo Sacramento appositamente istituito al personale pentimento.

Sembra sempre più in voga, invece, un pensare la Confessione nel modo in questione, che, più o meno esplicitamente e, a volte, più o meno coscientemente, finisce con il destituire di importanza questo Sacramento.

Ragioniamo ora sulla possibilità che i peccati mortali siano tutti uguali tra loro.

Anche questo è in contrasto con quanto insegnato dalla Chiesa.

Può però sembrare meno grave del concetto precedente come conseguenze per il penitente/fedele.

Non si ritiene sia così. Cercheremo di spiegare il perché.

La dottrina cattolica ha sempre insegnato e insegna che «i peccati non sono tutti uguali, e come alcuni peccati veniali sono meno leggeri di altri, così alcuni peccati mortali sono più gravi e funesti» (n. 151 Catechismo di San Pio X). Quelli più gravi sono i peccati contro lo Spirito Santo e quelli che gridano vendetta al cospetto di Dio (cf. n. 152).

Come nella matematica e nell’italiano ci sono errori più gravi di altri, così, a maggior ragione, nei comportamenti umani ci sono peccati più gravi di altri.

In generale, sono più gravi i peccati che offendono direttamente Nostro Signore,  cioè quelli che attengono al Primo Comandamento.

Questo è chiaro, perché la materia dei vari peccati incide sulla loro gravità, così come incidono la maggiore o minore malizia e perfezione del consenso a commetterli.

È logico, infatti, per fare un esempio, che un omicidio volontario sia più grave di una lesione lieve. C’è differenza nel diritto penale (diritto positivo), ce ne sarà ancor di più davanti a Dio, il quale è Giustizia perfettissima.

Un’eventuale affermazione come quella analizzata fa pensare ad una mancanza di preparazione, che non è certamente cosa di poco conto.

Ora, che quello di insegnare la dottrina alla base della nostra fede sia uno dei doveri più importanti per i sacerdoti si ricava da molti insegnamenti, come quelli del Concilio di Trento e di San Pio X (ad es. Acerbo Nimis, 15.4.1905).

Questo dovere comporta quello preliminare di conoscere la propria fede. Non si può insegnare ad altri quel che non si conosce o si conosce male.

Se un maestro non è preparato, riuscirà ad insegnare bene l’italiano o la matematica ai nostri figli?

Così, un sacerdote non preparato o preparato male riuscirà ad insegnare anche solo le corrette basi della nostra fede al gregge che gli è affidato?

Gli errori che scaturiscono da una non corretta preparazione dei sacerdoti incidono direttamente sulla percezione della fede e sull’applicazione di questa alla vita.

Rimanendo sul tema in questione, si può a ragione temere che affermare che i peccati mortali siano tutti uguali, ossia tutti della stessa gravità e con le stesse pene possa spingere qualcuno a perdere quell’inibizione, quel freno che è la conoscenza della maggiore gravità di alcuni peccati e diminuire così la resistenza alle tentazioni.

Attenzione! Non stiamo assolutamente dicendo che i peccati meno gravi è …meno grave commetterli. Ogni peccato è «aversione a Deo» e come tale è da condannare. Quel che vogliamo evidenziare è invece che commettere un peccato mortale più grave di un altro non è la stessa cosa, non si va semplicemente tutti ugualmente all’Inferno.

Se è vero che ogni peccato mortale porta all’Inferno e che l’anima una volta lì è dannata per l’eternità, se è vero che ogni pena dell’Inferno è comunque durissima, è altrettanto vero che la diversa gravità tra due peccati mortali comporta una diversità di sofferenza all’anima (pena del senso).

La differenza è, tra l’altro, decisiva anche ai fini del tempo che si rimarrà in Purgatorio.

Come abbiamo scritto in un altro articolo (qui), dopo la Confessione è molto probabile rimanga una pena temporanea che non si sia scontata con la sola penitenza attribuita dal confessore. Ed è quella che motiva il Purgatorio, dove la dovremo esaurire.

È chiaro quindi che è fondamentale conoscere e capire la differenza di gravità tra i peccati mortali: le pene temporanee che residuano dopo la Confessione saranno molto più grandi per quelli più gravi, con conseguente maggiore permanenza in Purgatorio e durata delle sofferenze (pena del senso).

In conclusione, anche la seconda affermazione ha un peso enorme sul destino delle anime. Se la prima all’atto pratico destituisce di importanza la Confessione e potrebbe indurre le persone a non confessarsi prima di comunicarsi e a «mangiare la propria condanna» (1Cor 11, 29), la seconda rischia di allungare la permanenza dell’anima nel Purgatorio o di inasprire le sofferenze dell’Inferno.


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