La Tappa: Dio, il Male e i Castighi

 Le tappe trattano argomenti importanti e perenni per la formazione cristiana attraverso il metodo de Il Cammino dei Tre Sentieri, ovvero l’unione della Dottrina (la Verità) della Vita Spirituale (la Bontà) e del fascino della Verità Cattolica (la Bellezza). All’interno delle singole tappe vi sono i passaggi, indicati con numerazione progressiva. 

(50 passaggi)

1

Il male è la privazione di una perfezione (qualità) in un essere creato.

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A proposito del male è importante distinguere il male morale dal male fisico. Il primo è il peccato, il secondo è la sofferenza che può toccare indipendentemente dalla propria volontà.

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Mentre il male morale è solo permesso ma mai può essere voluto da Dio, il male fisico non solo è permesso, ma in molti casi può anche essere voluto da Dio; per un motivo molto semplice: perché, dopo il peccato originale, a causa della perdita del dono dell’integrità (per cui l’uomo tende più al male che al bene), il male fisico può servire per scongiurare il male morale.

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Certo, anche il male fisico è male e secondo il progetto originario di Dio non sarebbe dovuto esserci, ma esso è entrato nel mondo come conseguenza del peccato originale e, pur essendo male, non ripugna totalmente Dio. Ciò che ripugna totalmente a Dio è il male morale, cioè il peccato.

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Dal momento che il male fisico è entrato nel mondo in conseguenza del male morale (il peccato originale), il male fisico (come abbiamo detto) non ripugna totalmente Dio proprio perché è la conseguenza del peccato e non il peccato. Ciò è tanto vero che Dio stesso lo ha assunto. Con l’unione ipostatica dell’Incarnazione è avvenuto che Dio ha preso su di sé tutta la natura umana tranne il peccato e la possibilità di peccare. Tutta la natura umana: anche la sofferenza e il dolore. Sulla Croce, il Verbo incarnato non ha finto di soffrire, ma ha sofferto così come avremmo sofferto noi se fossimo stati noi ad essere crocifissi. Ora, se il male fisico fosse il male in quanto tale (cioè il peccato), Dio Padre avrebbe potuto destinarlo a Suo Figlio?

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Altra cosa importante da ricordare è che mentre nelle altre religioni (ovviamente semplifichiamo perché si dovrebbero fare tutta una serie distinguo) il divino crea il male, nel Cristianesimo non solo Dio non ha creato il male, ma addirittura viene a farne vera esperienza.

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Chiediamoci: Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto scegliere un’altra strada e non la sofferenza? Dovremmo ovviamente rispondere di sì. Dio non doveva render conto a nessuno (se non alla sua natura, perché Dio è logos, per cui non può contraddirsi), ma ha voluto, per esprimere al massimo il suo amore, soffrire e morire per le sue creature: “Nessuno ha un amore più grande: dare la vita per i propri amici.” (Giovanni 15, 13). Questa scelta si configura come un grande mistero, ma è la scelta che Dio ha fatto in maniera chiara ed inequivocabile.

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Approfondiamo la questione del rapporto tra Dio e il male fisico. Abbiamo detto che nell’attuale ordine di cose (dopo il peccato originale) Dio può volere, non direttamente, bensì indirettamente (per accidens) il male fisico, come conseguenza del peccato originale e come mezzo per ottenere un fine più elevato: il merito e la salvezza dell’anima.

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C’è una cosa importante da capire: il male fisico può anche essere un castigo, ma non necessariamente. Può essere un castigo, perché Dio, sapendo che la più grande tragedia è il male morale e quindi la perdita definitiva della gioia eterna, fa di tutto perché questo non avvenga. Può anche castigare pur di far capire, come fa un bravo genitore che castiga il figlio per evitare che questi prenda una cattiva strada. In tal caso il castigo si configura come una grazia.

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A riguardo c’è un interrogativo che molti si pongono: Come Dio può permettere che soffra un bambino innocente, mentre un criminale può avere una vita senza problemi e perfino morire ad una veneranda età? La risposta è molto semplice: Dio castiga quando ancora c’è una speranza. Quando però non ci sono più speranze, Dio non castiga più.

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Il castigo, pertanto, si configura come una grazia attuale: è un richiamo per capire e per avere ancora una volta la possibilità di “riaggiustare” la propria vita.

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I castighi sono sempre segni di speranza: “La più grande misericordia di Dio –scrive san Pio da Pietrelcina- è il non lasciare in pace con se stesse quelle nazioni che non sono in pace con Dio. Infelici quelle nazioni con le quali il Signore non fa lo sdegnato con esse, perché allora questo è il più severo dei castighi, avendo Egli detto per Isaia: ‘Tacebis, Domine, et affliges nos vehementer’ (Isaia 64,12).” (San Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 259).

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Il male fisico, se non è un castigo, è senz’altro una purificazione. Basta leggere la vita dei santi. Non c’è n’è uno che non sia diventato tale senza percorrere la via della Croce.

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San Giovanni della Croce parla della notte del senso e della notte dello spirito, prove durissime che farebbero impallidire chiunque; prove volute dalla Provvidenza: “Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.” (Siracide 2, 4-5).

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Un soldato americano, rimasto mutilato in guerra, scrisse: “Ho chiesto a Dio la forza di conquistare e il Signore mi ha fatto debole perché imparassi umilmente ad obbedire. Ho chiesto di essere aiutato a fare cose più grandi e il Signore mi ha fatto ammalare perché facessi cose migliori. Ho chiesto ricchezze per poter essere felice e mi è stata data la povertà perché fossi saggio. Ho chiesto di tutto per poter godere la vita ed ho avuto la vita per poter godere di tutto. Non ho avuto nulla di ciò che avevo chiesto, ma ho avuto tutto quello che avevo sperato. Fra tutti gli uomini sono il più lungamente beneficato.” (Cit. in don E.Boninsegna, La fame dell’uomo, in “Presenza Divina”, anno XXI, n.252, luglio 2014).

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In una lettera a Filomena Fini, del 25 luglio 1917, san Pio da Pietrelcina allude ad un figlio di lei, morto piccolino, e dice chiaramente che la morte dei bambini sono permesse da Dio anche per salvare alcune anime che, se vivessero di più, correrebbero il rischio di perdersi. Ecco cosa scrive: “Non è necessario dirvi quanta pena mi arrecò la dipartita pel cielo di questo tenero bambino, che io amavo al pari dell’anima mia, ma mi rassegno ai voleri di Dio perché la felicità di quel bambino sarebbe stata assai contrastata se egli fosse vissuto.” (San Pio da Pietrelcina, Epistolario, III, p.810).

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Ma allora, stando così le cose, dobbiamo concludere che secondo il Cristianesimo Dio può castigare? Sì, è così: Dio può castigare.

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Certamente nessuno può dire (a meno che non abbia avuto da Dio particolari rivelazioni) quando una catastrofe naturale, una malattia o un’epidemia siano un castigo. Nello stesso tempo però nessuno può dire che una catastrofe naturale, una malattia o un’epidemia non possano mai essere un castigo.

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Se è vero che Dio può solo permettere, ma mai volere il male morale (cioè il peccato), è pur vero che Dio –per accidens– non solo può permettere, ma anche volere il male fisico, e ciò per evitare il male morale e quindi per correggere e ammonire. San Tommaso d’Aquino afferma: “Dio, volendo sopra ad ogni cosa la sua bontà, rigetta il male morale che è ad essa direttamente contrario. Ma, relativamente agli altri mali, volendo tutto in ordine alla sua natura che è somma bontà, può anche volere il male di pena in ordine alla giustizia e il male naturale in ordine alla provvidenza.”

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 Pio XII così si espresse in un discorso ai Giuristi Cattolici del 26 maggio 1957:Spesso le pene volute da Dio sono piuttosto un rimedio che un mezzo di espiazione, piuttosto ‘poenae medicinales’ che ‘poenae vindicativae’. Esse ammoniscono il reo a riflettere sulla sua colpa e sul disordine delle sue azioni, e lo inducono a distaccarsene ed a convertirsi.” Dunque, Pio XII parla esplicitamente di pene “volute” da Dio.

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Pertanto, Dio –per accidens– può volere il male fisico in vista di un bene e, pertanto, tale male, proprio perché finalizzato al bene, diviene un gesto di amore.

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Ciò può essere voluto anche per punire, in quanto Dio oltre ad essere sommo amore e anche somma giustizia. Amore e giustizia sono entrambe virtù e sono nella natura di Dio al massimo grado. Sono due virtù apparentemente contrarie ma non contraddittorie. Per cui, mentre possiamo dire di Dio che è giustizia massima e misericordia massima, non possiamo dire che Dio è giusto e non-giusto o misericordioso e non-misericordioso, perché ciò sarebbe non semplicemente contrario ma contraddittorio.

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Scrive san Bernardo di Chiaravalle: “Ti inganni, o miserabile e inganni te stesso, non Dio (…) tu pensi che Egli potrebbe anche scacciarti se lo volesse, ma che per sua bontà non lo può volere (…). Ma è certamente estraneo alla Sua perfezione il non essere giusto perché è buono, come se non potesse essere contemporaneamente giusto e buono. Una bontà giusta è preferibile ad una bontà debole e remissiva, anzi, una bontà senza giustizia non è vera virtù (…). Egli mitigherebbe la Sua condanna nella punizione, se tu volessi rinsavire, né negherebbe il Suo perdono al tuo pentimento. Ma poiché tu non puoi volerlo a causa della tua ostinazione e del tuo cuore impenitente, Egli non potrà mancare nella punizione.” (San Bernardo di Chiaravalle, I dodici gradi della superbia, n.31 e ss.).

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Dio esige il trionfo della giustizia e che Dio esiga questo è confermato anche dalla verità del Giudizio universale. Tale giudizio non modificherà quello particolare, nel senso che se nel giudizio particolare (immediatamente dopo la morte) si è condannati all’inferno non è che con il giudizio universale vi sarà la speranza che tale condanna possa essere modificata. E allora, se il giudizio particolare verrà confermato perché ci sarà quello universale? Per esigenze di giustizia: perché il bene deve essere esaltato dinanzi a tutti e il male condannato dinanzi a tutti. Il Catechismo di San Pio X dice testualmente: “Nel giudizio universale si manifesterà la gloria di Dio, perché tutti conosceranno con quanta giustizia Dio governi il mondo, sebbene ora si vedano qualche volta i buoni in afflizione e i cattivi in prosperità.” 

25

La convinzione secondo cui non è ammissibile che Dio possa castigare è facilmente confutabile e manifesta una palese contraddizione. Viene da chiedersi: perché Dio non potrebbe castigare gli uomini, se poi è arrivato, per i peccati degli uomini, a “castigare” perfino Suo Figlio, l’Innocente per eccellenza? Gesù si è addossato volontariamente le colpa degli uomini per espiarla. (Cfr.R.Amerio, Iota Unum, 2° edizione, Cremona 1986, p.539).

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Proprio perché Dio, oltre ad essere sommo amore è anche somma giustizia, la teologia spirituale ha sempre riconosciuto la possibilità della sofferenza vicaria, ovvero che alcune anime possano volontariamente offrirsi “vittime”, o essere utilizzate dalla provvidenza, per la salvezza dei peccatori e del mondo intero.

27

A Fatima la Vergine arrivò a chiedere che bambini di 10, 9 e 7 anni offrissero penitenze e sacrifici e arrivò perfino a chiedere a Giacinta se avesse voluto offrire per i peccatori la grande sofferenza di morire senza la compagnia della propria madre.

28

Alcuni distinguono il castigo dall’ammonimento, arrivando a dire che le catastrofi naturali non possono mai essere un castigo, ma tutt’al più un ammonimento. Se letteralmente i due termini non sono identici, resta il fatto che il castigo che viene ammesso teologicamente figura sempre come un ammonimento, nel senso che Dio non castiga sadicamente, cioè per il gusto di castigare, ma perché questo possa essere occasione di ripensamento. Il verbo castigare (che deriva dal latino castus, cioè “puro”) nel suo significato originario significa “correggere”, “purificare”. Il verbo “ammonire”, deriva anch’esso dal latino, precisamente da ad-monere, cioè avvertire, avvertire per evitare che si vada incontro a qualcosa di più grave: «(…) quei diciotto, sopra i quali rovinò la Torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Luca 13, 4-5). Dunque, considerata l’etimologia, non c’è una grande differenza tra “castigare” e “ammonire”. Si tratta comunque di un’azione diretta. Dove la differenza? Ci sembra proprio uno di quegli escamotages linguistici per esprimere più elegantemente le stesse verità. Del tipo: “diversamente abile” invece che “handicappato” o “operatore ecologico” invece che “netturbino”.

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Il problema è se Dio possa solo permettere o possa anche volontariamente generare castighi. Dire che Dio non possa castigare perché, crederlo, offenderebbe Dio, vuol dire andare contro ciò che dice la Scrittura, rifiutare i suoi stessi insegnamenti. Fermo restando tutti i possibili generi letterali da riconoscere, è pur vero che non si possono negare il diluvio universale, Sodoma e Gomorra, Anania e Saffira, e tanti altri episodi.

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Di citazioni del Magistero ne potremmo prendere chissà quante, cosa che ovviamente non possiamo fare. Ci limiteremo ad alcune, attingendo soprattutto da voci non distanti nel tempo.

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Papa Benedetto XV ricorda, nel corso della Prima Guerra mondiale, che “(…) le private sventure sono meritati castighi, o almeno esercizio di virtù per gli individui, e che i pubblici flagelli sono espiazione delle colpe onde le pubbliche autorità e le nazioni si sono allontanate da Dio.” (Benedetto XV, Discorso ai predicatori quaresimali di Roma, 19 febbraio 1917).

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Ancora papa Benedetto XV: “Dio, che governa il mondo nel tempo e nell’eternità, premia e punisce gli uomini, sia individualmente, sia nelle comunità, secondo le loro responsabilità.” (Benedetto XV, Enciclica In praeclara summorum, 30 aprile 1921).

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Pio XII, in occasione della rivolta di Ungheria, insegna che il Signore “(…) come giusto giudice, se punisce spesso i peccati dei privati soltanto dopo la morte, tuttavia colpisce talora i governanti e le nazioni stesse anche in questa vita, per le loro ingiustizie, come la storia ci insegna.” (Pio XII, Enciclica Datis Nuperrime, 5 novembre 1956).

34

Giovanni XXIII afferma che “(…) l’uomo, che semina la colpa, raccoglie il castigo. Il castigo di Dio è la risposta di Lui ai peccati degli uomini”; perciò “Egli (Gesù) vi dice di fuggire il peccato, causa principale dei grandi castighi.” (Giovanni XXIII, Radiomessaggio, 28 dicembre 1958).

35

Paolo VI: “Come siamo meschini, come siamo davvero colpevoli al punto da meritare i castighi del Signore!” (Paolo VI, Omelia, 13 marzo 1966).

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Giovanni Paolo II spiega che Dio “(…) esige sì soddisfazione, e tuttavia è anche clemente, e non ci punisce tanto quanto meriteremmo.” (Giovanni Paolo II, Omelia, 22 febbraio 1987). Il che vuol dire che Dio comunque punisce.

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Ancora Giovanni Paolo II: “Dio ricorre al castigo come mezzo per richiamare sulla retta via i peccatori sordi ad altri richiami.” (Giovanni Paolo II, Udienza generale, 13 agosto 2003).

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Benedetto XVI parla della preghiera di intercessione di Abramo per Sodoma e Gomorra, le due città bibliche punite da Dio a causa dei loro peccati, perché Abramo non poté trovare in esse neppure dieci giusti, che ne meritassero la salvezza. Il Signore voleva questo: un numero anche minimo di giusti per salvare la città. “Ma – afferma Benedetto XVI – neppure dieci giusti si trovavano in Sodoma e Gomorra, e le città vennero distrutte. Una distruzione paradossalmente testimoniata come necessaria proprio dalla preghiera d’intercessione di Abramo. Perché proprio quella preghiera ha rivelato la volontà salvifica di Dio: il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio» (Ger 2,19)”. Il Papa ricorda dunque che “non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo”.  (Benedetto XVI, Udienza generale, 18 maggio 2011). Il peccato porta con sé, come conseguenza, il castigo, sia sul piano individuale che su quello collettivo.

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Poi c’è la voce dei Santi. Sant’Annibale di Francia (1851-1927) il 16 novembre 1905 profetizzò il terribile terremoto di Messina che avvenne il 28 dicembre 1908. Ecco le sue parole: “Senza mezzi termini, senza reticenze e timori, io vi dico, o miei concittadini, che Messina è sotto la minaccia dei castighi di Dio: essa non è meno colpevole di tante altre città del mondo che sono state distrutte o dal fuoco o dalle guerre o dai terremoti: deve dunque aspettarsi da un momento all’altro di subire anch’essa la stessa sorte (…). Ecco il terribile argomento del mio lacrimevole discorso. Io comincio da farvi una enumerazione di tutti quei motivi pei quali i castighi del Signore su questa città appariscono alla mia atterrita fantasia quasi inevitabili. Il primo motivo è che i nostri peccati reclamano i castighi di Dio. Presso di noi “peccato” è una parola di poco peso. Lo commettiamo con la massima facilità, ci abituiamo assai naturalmente, arriviamo a bere l’iniquità come acqua e con l’anima piena di peccati e di delitti ridiamo, scherziamo, dormiamo e pensiamo ad acquistarci il ben vivere per peccare ancora di più. Se qualche volta ci pentiamo, è un pentimento superficiale e momentaneo: ben presto si torna al vomito. Leggiamo la Sacra Scrittura, interroghiamo la storia di tutti i secoli, e noi troviamo che Dio punisce non solo nell’altra vita, ma anche in questa. Diluvi sterminatori, terremoti distruttori, guerre, epidemie devastatrici, carestie, siccità, mali sempre nuovi e incogniti: tutto dimostra che Iddio castiga severamente i peccati anche in questa vita. (…) Un secondo motivo per cui dobbiamo ritenere per certi i castighi di Dio, è che tante altre città a noi vicine hanno già avuto questi castighi, appunto perché avevano i nostri stessi peccati. Ora, se Dio punì quelle città che avevano questi stessi peccati, perché non punirà anche noi? Dio è giusto. Terzo motivo: i castighi di Dio verranno su di noi perché abbiamo avuto diversi avvisi e non ne abbiamo fatto caso. Undici anni or sono, la terra ci tremò sotto i piedi. Dopo 4 anni, il 1898, terremoti: minore fervore. Finalmente 40 giorni fa terremoti. Che si fece? Nulla! Il popolo, le famiglie rimasero indifferenti! Ci siamo abituati. Ci sembra che godiamo d’un privilegio d’immunità presso Dio e che possiamo peccare a nostro bell’agio. Ah, non è così! Tutti questi replicati avvisi non sono che i lampi e i tuoni precursori dell’imminente scoppio dell’uragano! Quarto motivo: la nostra storia, fin dall’origine, ci accerta che Messina, quando in un’epoca quando in un’altra, è stata visitata sempre dal divino flagello. Il passato insegna l’avvenire. Se Iddio per tanti secoli ha fatto così con questa città, perché deve mutare adesso la sua condotta?. (…) Il terremoto, per quanto è terribile, ha però questo di buono, che apporta una conversione generale! È un gran missionario.” (Sant’Annibale Di Francia, Appunti di predica, 15 novembre 1905, in Scritti, s. d., Curia Generalizia dei Rogazionisti, vol. 55, doc. 2005. Cfr. anche Ignazio Cannavò, Chiesa e terremoto (Messina 1908). Solidarietà e polemiche, Bonanno, Acireale-Roma 2009, pp. 133-135).

40

Alla vigilia della seconda sessione del Concilio Vaticano I, il 6 gennaio 1870, san Giovanni Bosco ebbe una visione in cui gli fu rivelato che “(…) la guerra, la peste, la fame sono i flagelli con cui sarà percossa la superbia e la malizia degli uomini. Così si espresse il Signore: ‘Voi, o sacerdoti, perché non correte a piangere tra il vestibolo e l’altare, invocando la sospensione dei flagelli? Perché non prendete lo scudo della fede e non andate sopra i tetti, nelle case, nelle vie, nelle piazze, in ogni luogo anche inaccessibile, a portare il seme della mia parola? Ignorate che questa è la terribile spada a due tagli che abbatte i miei nemici e che rompe le ire di Dio e degli uomini?’ (Cit. in “La Civiltà Cattolica” dell’anno 1872, vol. VI, serie III, pp. 299-303. Cfr. anche Memorie biografiche del venerabile don Giovanni Bosco. Raccolte del sacerdote Salesiano Giovanni Battista Lemoyne, edizione extra commerciale, vol. IX, Tipografia S.A.I.D. “Buona Stampa”, Torino 1917, p. 782).

41

Racconta santa Faustina Kowalska: “Un giorno Gesù mi disse che avrebbe fatto scendere il castigo su di una città, che è la più bella della nostra Patria. Il castigo doveva essere uguale a quello inflitto da Dio a Sodoma e Gomorra.” A questo proposito il direttore spirituale di Santa Faustina, don Sopocko, durante la deposizione testimoniale, ha fatto la seguente dichiarazione: “Aveva scritto inoltre nel ‘Diario’ che Gesù le aveva detto che avrebbe distrutto come Sodoma una delle più belle città della nostra patria a causa dei peccati che vi si commettevano. Quando in seguito, dopo aver letto il ‘Diario’ le chiesi chiarimenti su tale questione, confermò che le cose stavano così. Avendole poi domandato per quali peccati Iddio infliggeva tale punizione, rispose che ciò sarebbe avvenuto soprattutto per l’uccisione dei bambini non fatti nascere, essendo questo il più grave peccato che vi si commetteva.” (Santa Faustina Kowalska, Diario, 39).

42

A proposito dell’ira di Dio, sempre santa Faustina scrive: “Oggi il Signore mi ha fatto conoscere la sua ira contro l’umanità, che per i suoi peccati merita che vengano accorciati i suoi giorni. Mi ha fatto conoscere inoltre che l’esistenza del mondo è sostenuta dalle anime elette, cioè gli ordini religiosi. Guai al mondo, se venissero a mancare gli ordini religiosi.” (Santa Faustina Kowalska, Diario, 1434).

43

Tra le tante cose che Gesù disse a santa Faustina vi sono anche queste parole: “Faccio uso dei castighi solo quando essi stessi Mi costringono a questo; la Mia mano afferra malvolentieri la spada della giustizia. Prima del giorno della giustizia mando il giorno della Misericordia.” (Santa Faustina Kowalska, Diario, 1588). E ancora: “Se tu non Mi legassi le mani, manderei molti castighi sulla terra.” (Santa Faustina Kowalska, Diario, 1722).

44

San Pio da Pietrelcina disse ad un suo figlio spirituale: “Ringrazia e bacia dolcemente la mano di Dio che ti percuote: è sempre la mano di un Padre che ti percuote perché ti vuol bene.” E ancora: “O Dio, se tutti conoscessero la vostra severità, al pari della vostra dolcezza, quale creatura sarebbe così stolta che oserebbe offendervi?” (San Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 191). Un giorno Gesù gli disse: “Figlio mio, ho bisogno delle vittime per calmare l’ira giusta e divina del Padre mio; rinnovami il sacrificio di tutto te stesso e fallo senza riservatezza alcuna.” (San Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 118).

45

A proposito della Prima Guerra Mondiale san Pio dice: “Il flagello attuale nei fini di Dio è di avvicinare l’uomo alla divinità, come fine principale; come fine secondario ed immediato poi è di scagionare le persecuzioni contro i figli di Dio che ne seguirebbero per parte dei figli di questo, qual giusto frutto della presente guerra.”  (San Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 510). Poi ancora: “Innanzitutto tutte le nostre preghiere siano rivolte a disarmare la collera divina verso la nostra patria. Anch’essa ha molti conti da saldare con Dio. Impari almeno dalle sventure altrui, massime da quelle della sua consorella la Francia, quanto dannoso sia per la nazione l’allontanarsi da Dio ed intoni a suo tempo il ‘miserere’.”  (San Pio da Pietrelcina, Epistolario, I, 206).

46

Nella Summa c’è una quaestio dedicata alla liceità della “vendetta”, considerata da san Tommaso d’Aquino una specifica virtù (Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, q. 108, a. 2.), una perfezione divina che “consiste nel punire, rispettando in tutte le circostanze la debita misura.” (Ivi, IIª-IIae q. 108 a. 2 ad 3). Scrive il Dottore Angelico: “Quando è tutto il popolo che pecca, la vendetta va fatta su tutto il popolo, come furono sommersi nel mar Rosso gli Egiziani che perseguitavano i figli d’Israele, e come furono colpiti in blocco gli abitanti di Sodoma; oppure va colpito un numero rilevante di persone, come avvenne nel castigo inflitto per l’adorazione del vitello d’oro. Invece altre volte, se si spera l’emenda di molti, la severità della vendetta deve colpire pochi esponenti, la cui punizione incuta timore negli altri: come si legge nel libro dei Numeri, che il Signore comandò di impiccare i capi per il peccato di tutto il popolo. Se invece il popolo non ha peccato in blocco ma in parte, quando i colpevoli possono essere riconosciuti, la vendetta deve esercitarsi su di essi: se però il castigo è possibile senza pregiudizio per gli altri. Altrimenti si deve perdonare al popolo a scapito della severità. Lo stesso si dica per il principe che rappresenta il popolo. Infatti il suo peccato va tollerato, se non può essere punito senza scandalo dei sudditi: a meno che non sia tale da nuocere al popolo, nell’ordine spirituale o temporale, più dello scandalo che potrebbe nascere dalla punizione” (Ivi, IIª-IIae q. 108 a. 1 ad 5).

47

A chi dice che, poiché il castigo è dovuto al peccato, ogni peccato è volontario, e dunque la vendetta deve esercitarsi solo su coloro che han voluto la colpa, san Tommaso risponde: “La pena, o castigo, può essere considerata sotto due aspetti. Primo, sotto l’aspetto di punizione. E come tale, la pena è dovuta solo al peccato: perché con essa viene ristabilita l’uguaglianza della giustizia, nel senso che colui il quale peccando aveva troppo assecondato la propria volontà, viene a subire cose contrarie al proprio volere. Perciò, siccome ogni peccato è volontario, compreso quello originale, secondo le spiegazioni date, è evidente che nessuno viene punito in questo senso, se non per atti compiuti volontariamente. Secondo, una pena può essere considerata come medicina, non solo per guarire dai peccati già commessi, ma per preservare dai peccati futuri, e per spingere al bene. E sotto quest’aspetto uno può essere castigato anche senza colpa: però non senza una causa. – Si deve però notare che una medicina non priva mai di un bene maggiore, per procurarne uno minore: un medico, per esempio, non accecherà mai un occhio per sanare un calcagno; tuttavia egli potrà infliggere un danno in cose secondarie per soccorrere quelle principali. E poiché i beni spirituali sono i beni supremi, mentre quelli temporali sono tanto piccoli; talora uno viene castigato nei beni temporali senza alcuna colpa, ed è così che Dio infligge molte penalità della vita presente come prove e umiliazioni: nessuno invece viene mai punito nei beni spirituali, sia nel tempo presente che nella vita futura, senza sua colpa; poiché codeste punizioni non sono medicinali, ma accompagnano la dannazione dell’anima.”  (Ivi, IIª-IIae q. 108 a. 4 co).

48

Quando si parla della possibilità dei castighi divini, vien naturale un’obiezione: ma con le catastrofi a morire sono anche gli innocenti e anche i bambini. Sentiamo cosa ha da dirci san Tommaso d’Aquino a riguardo: “L’ignoranza causa involontarietà. Ma talora la vendetta raggiunge anche chi è nell’ignoranza. Infatti i bambini dei Sodomiti, sebbene fossero nell’ignoranza invincibile, perirono insieme ai loro genitori, come si legge nella Scrittura. Parimenti per il peccato di Datan e di Abiron furono ingoiati anche i loro piccoli. Anzi, per il peccato degli Amaleciti, Dio comandò di uccidere persino gli animali bruti privi di ragione. Perciò la vendetta talora va esercitata anche contro le colpe involontarie.” (Ivi, IIª-IIae q. 108 a. 4 arg.3).

49

Tutte le pene di questa vita, anche quelle degli innocenti, come i bambini, sono pene o conseguenze del peccato originale. Infatti, spiega san Tommaso, “(…) secondo il giudizio di Dio i bambini sono puniti con le pene temporali assieme ai genitori, sia perché appartengono ad essi, e sia perché in loro Dio punisce i genitori. E infine anche perché questo ridonda a loro bene: perché se dovessero sopravvivere, sarebbero portati a imitare le colpe dei genitori, e quindi meriterebbero pene più gravi. La vendetta poi viene esercitata sugli animali e sulle altre creature prive di ragione, perché in tal modo ne vengano puniti i proprietari. E anche per incutere orrore del peccato”.

50

Negare che Dio possa castigare per salvaguardare la “bontà” di Dio è un’assurdità. E’ un’assurdità, perché è proprio il contrario. Un Dio che non castiga non spiega la sua permissione della sofferenza, per cui a riguardo si dovrebbe ipotizzare o che Dio sia impotente dinanzi alle catastrofi e alla morte (convinzione, questa, di teologie gnostiche che parlano della “debolezza” di Dio) oppure che, pur potendo intervenire, sia indifferente dinanzi a ciò che accade. Ovviamente siamo all’assurdo tanto nella prima quanto nella seconda ipotesi.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


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