SOSTA – Il 22 febbraio del 1788 nacque il filosofo Schopenhauer… un breve giudizio cattolico sul suo pensiero

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


Un filosofo tutt’altro che coerente

Arthur Schopenhauer (1788-1860), un tipo che a tutto somigliava fuorché ad un filosofo e che fu capace, come nessuno, di stabilire una perfetta incoerenza tra il suo pensiero e la sua vita. Ma su questo torneremo tra poco. Schopenhauer se la prese con Hegel perché a lui i grandi sistemi non piacevano affatto. Ce l’aveva con chi affermava una perfetta razionalità del reale e della storia. Ce l’aveva anche con il mondo accademico a cui dedicò uno scritto tutt’altro che cortese, Sulla filosofia all’università. Schopenhauer si dichiarò ateo ed ebbe una breve carriera come docente universitario, precisamente all’Università di Berlino. E fu proprio in questo breve periodo accademico che scrisse la sua opera più importante, Il mondo come volontà e rappresentazione. Siamo nel 1819. Ritornando al discorso della coerenza, Schopenhauer faceva parte di quella categoria sempre numerosissima sulla faccia della Terra, quella degli “armiamoci…e partite!” Altro che castità, povertà, digiuno e quant’altro… che lui cercò di predicare. Fu un donnaiolo, una buona forchetta e un bevitore tutt’altro che parsimonioso. Non mancò di avidità ed aveva un vero e proprio caratteraccio. Una volta si limitò a congedare un’anziana sarta buttandola dalle scale; e la poveretta per poco non ci rimise la pelle. Aveva delle donne un giudizio “squisito”. Ma veniamo al suo pensiero

Il mondo è solo “fenomeno”… anzi sogno

Come per Kant, anche per Schopenhauer il mondo è solo fenomeno (rappresentazione): esiste solo per il soggetto che se lo rappresenta. Ma, rispetto a Kant, il nostro accentua il carattere di illusorietà del mondo. Il mondo sarebbe talmente illusorio da essere una sorta di “sogno”. Egli si pone questo interrogativo: Se tutto ciò che sappiamo del mondo è sempre determinato dai nostri schemi mentali, come possiamo giungere ad una conoscenza veramente obiettiva della realtà? Se ogni conoscenza è una costruzione mentale, allora tutto è apparenza ed illusione. E così Schopenhauer afferma che “…la vita e il sogno sono pagine di uno stesso libro”; e la stessa vita potrebbe essere nient’altro che un “lungo sogno”. Il problema però è che così si entra in palese contraddizione. Infatti, se dico che tutto è sogno, allora è “sogno” anche ciò che sto dicendo ora, ovvero che tutto è sogno. E -capite bene- in tal modo non se ne esce più.

L’unica certezza è il corpo

Ma allora nessuna certezza? No -ci tiene a dire Schopenhauer- una certezza l’abbiamo: il nostro corpo. Il corpo è l’unica realtà “noumenica” di cui l’uomo avrebbe coscienza. Attenzione: un certo tipo di pansessualismo successivo e la stessa rivoluzione sessuale di Wilheim Reich prendono le mosse anche da questa prospettiva di Schopenhauer.

La volontà di vivere domina tutto

La certezza dell’esistenza del proprio corpo, conduce anche ad un’altra certezza, ovvero la volontà di conservare il proprio corpo, costi quel che costi. E così si arriva ad un punto caratterizzante il pensiero del filosofo tedesco: la volontà di vivere muove tutto. Cos’è questa volontà di vivere? E’ una forza irrazionale e misteriosa che spinge a desiderare, agire, lottare e soffrire. La volontà di vivere è una forza cosmica che muove tutti gli esseri. La volontà di vivere è la vera “cosa in sé”: la sostanza oltre la quale c’è solo l’apparenza fenomenica. Ma tale volontà di vivere destina alla sofferenza. Essa, infatti, perché destinata al fallimento (infatti si muore) produce inevitabilmente sofferenza e disperazione.

E così una volontà cieca sovrasta tutto

Dal momento che tale volontà di vivere è l’essenza di tutto; e dal momento che essa si esplica in una lotta di tutti contro tutti, ecco che risulta evidente che tutto il reale è all’insegna dell’irrazionalità. A dominare tutto è una volontà cieca ed irrazionale. La vita non ha un senso, non può averlo: per Schopenhauer sarebbe sciocco crederlo.

Questo è il peggior mondo possibile

Se per Liebniz questo è il migliore dei mondi possibile, per Schopenhauer è invece il peggiore dei mondi. Non deve stupire questo bordeggiamento da un estremo all’altro. E’ tipico della modernità. L’ottimismo razionalista e il pessimismo irrazionalista, in maniera diversa, tendono a deformare la realtà e quindi a non saperla leggere adeguatamente

La soluzione è la “noluntas”

Ma allora non c’è proprio nulla da fare? Schopenhauer dice che qualcosa si può fare per alleviare la sofferenza. Una prima “soluzione” (si fa per dire) potrebbe essere nel darsi alla conoscenza estetica, perché questa non si occupa dei particolari, bensì di modelli universali. Qui Schopenhauer esprime una visione romantica dell’arte, parlando del genio artistico come di colui che si pone oltre la volontà, il tempo e il dolore, e che sarebbe in grado di contemplare in modo disinteressato il mondo e la bellezza, diventando “puro occhio del mondo”. Ma poi Schopenhauer ci riflette e capisce che l’arte è una breve fuga dal mondo e non una vera soluzione. Afferma, pertanto, che una vera liberazione la si potrebbe raggiungere solo con l’annullarsi, ovvero liberarsi dalla volontà di vivere, cioè con la nolontà (non-volontà o noluntas). Per attuare la nolontà occorrono quattro tappe: La giustizia: riconoscimento di sé e degli altri uniti in un unico destino: superamento dell’egoismo. La bontà: l’amore per gli altri come compassione del dolore altrui attraverso il proprio. L’ascesi: il digiuno, il silenzio, la castità, l’umiltà. Schopenhauer non suggerisce il suicidio, perché rappresenterebbe un’affermazione di volontà ed individualità. Il nirvana: beatitudine e assenza di dolore, che scaturirebbe dall’annullamento delle passioni e della volontà di vivere.

Un ennesimo fallimento della modernità

La modernità si è costruita sulla pretesa antropocentrica. Dunque, anche sulla pretesa di rendere il proprio ed individuale desiderio come chiave di lettura della vita. Ebbene, nel pensiero di Schopenhauer il desiderio viene negativizzato e dissolto. Eppure il desiderio, se orientato al bene, è positivo. E’ positivo perché legato al riconoscimento ontologico dell’individualità. Non è un caso che san Tommaso parli del Paradiso come “…massima soddisfazione di ogni umano desiderio”.


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