Il Catechismo di San Pio X commentato per voi (n.104)

Rubrica a cura di Pierfrancesco Nardini


Domanda: Quanto dureranno il Paradiso e l’Inferno?
Risposta: Il Paradiso e l’Inferno dureranno eternamente.


L’eternità della beatitudine e delle pene è di fede.

La insegna, infatti, Nostro Signore Gesù e la Chiesa ne continua l’insegnamento nel corso dei secoli.

Cristo parla di “vita eterna” in molti passi dei Vangeli (Mt 18, 8-9; 19, 29; 25, 46; Gv 3, 15; 4, 14); in un altro passo parla di “tesoro inesauribile” (Lc 12, 33; cfr. Mt 6, 20).

Anche nella Parabola del Ricco Epulone (Lc 16, 19-31) c’è un’evidente spiegazione dell’eternità di Paradiso ed Inferno e della non mutabilità della condizione finale. Abramo, infatti, dice al Ricco Epulone che è all’Inferno: “c’è un abisso grande tra noi e voi, di modo che chi vuol passare da noi a voi non può, come neppure di lì a noi”. Il Dragone così commenta: “i giusti saranno separati dai reprobi per sempre, e tanto la pena quanto il premio, meta della via che stiamo facendo sulla terra, dureranno eternamente”.

L’insegnamento di Cristo è stato continuato sin dai primi tempi.

San Paolo, ad esempio, lo fa parlando di “una corona incorruttibile” (1Cor 9, 25), mentre San Pietro chiama questa corona “immarcescibile della gloria” (1Pt 5, 4).

Sant’Agostino evidenzia il contrasto tra la beatitudine e una durata temporanea, domandandosi “come si può parlare di una vera felicità, se manca la certezza della sua durata eterna?” ( De civ. Dei XII, 13, 1; cfr. X, 30; XI, 13).

La Chiesa ha spesso ribadito questa verità. Come con la Costituzione Benedictus Deus (29.1.1336) di Benedetto XII, che confutava chi affermava che la visione beatifica ci fosse solo dopo il giudizio finale ed anche la dottrina di Origene sulla mutabilità morale dei beati, inclusa la possibile diminuzione o perdita della beatitudine.

Il Papa insegnava che “le anime di tutti i Santi nelle quali non ci fu niente da purificare, quando morirono (…) anche prima della riassunzione dei loro corpi e il giudizio generale (…) vedono la divina essenza con visione intuitiva ed anche facciale (…) e così vedendo godono della medesima divina essenza e da tale visione e godimento le loro anime (…) sono veramente beate ed hanno la vita e il riposo eterno”.

Lo stesso ragionamento vale per la certezza dell’eternità dell’Inferno.

Gesù a volte parla di “fuoco eterno” (Mt 18, 8; 25, 41), altre volte parla di “supplizio eterno” (Mt 25, 46), altre volte ancora di “fuoco inestinguibile” (Mt 3, 12; Mc 9, 43).

I Padri della Chiesa sono tutti concordi nell’insegnamento dell’eternità delle pene infernali, ma in particolare, la Chiesa, sempre nella Benedictus Deus di Benedetto XII insegna che “secondo la disposizione generale di Dio, le anime di coloro che muoiono colpevoli di peccato mortale, subito dopo la morte discendono all’Inferno, per subirvi le pene infernali”.

Papa Vigilio (543), nel respingere la dottrina di Origene sull’apocatastasi, ovvero quella teoria che prevedeva la fine dell’Inferno con la conseguente salvezza di tutti i dannati, così ammoniva: “se qualcuno dice o crede che il supplizio dei demoni e degli empi sia temporaneo, e che un tempo avrà fine con la reintegrazione dei demoni e degli empi alla vita beata, sia scomunicato” (can. 9).

Continua questo insegnamento anche il IV Concilio Lateranense (1215): “Quelli (i dannati) riceveranno insieme con il diavolo una pena che dura per sempre” (Caput firmiter).

Come si nota, dunque, questa verità è di fede perché insegnata direttamente ed esplicitamente da Nostro Signore, ma anche perché è stata riportata in modo continuo e identico dalla Chiesa nel corso dei secoli.

C’è un ultimo particolare da sottolineare.

Il termine “eterno” si deve intendere non nel senso di una durata molto lunga, ma proprio nel senso di una durata senza fine: questo è provato da espressioni con cui Cristo parla dell’eternità con altri termini, quali «fuoco inestinguibile» (Mt 3, 12; Mc 9, 43) o “il fuoco non si estingue” (Mc 9, 48), ma anche da come contrappone “supplizio eterno” e “vita eterna” in Mt 25, 46.

Concludiamo condividendo la riflessione del Dragone: “Ogni nostro atto ha una risonanza eterna, in quanto merita un premio o un castigo eterno”.


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