SELEZIONE CATTOLICA – La clausola della Commissione europea per favorire le multinazionali (ilgiornale.it)

di Michele Crudelini –

La tecnocrazia di Bruxelles non si ferma di fronte a nessun ostacolo. 3,5 milioni di firme dei cittadini europei e i dubbi di tutte le delegazioni degli Stati contro il TTIP non hanno impedito alla Commissione europea di perseguire la loro strategia.

Mentre l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti è dunque in cantina, la Commissione ha dato un’accelerata spaventosa ad altri accordi commerciali. Da una parte il CETA, acronimo di Comprehensive Economic and Trade Agreement, attende solo l’approvazione da parte del Parlamento canadese, in vista della sua entrata in vigore prevista per il prossimo mese di aprile. Dall’altra ci sono gli accordi con Singapore e Vietnam, che rientrano nel più ampio gruppo di FTA (Free Trade Agreements), la cui conclusione è prevista per il 2018.

Circa pericolosità di questi ultimi si sono già spese parole su queste pagine. Nonché sui rischi legati al CETA. Solo lo scorso 24 marzo il presidente dell’associazione italiana Coldiretti avvertiva che “il CETA mette in pericolo la sostenibilità dei nostri grani e la qualità dei nostri prodotti alimentari”, questo perché l’Europa “aprirà le porte definitivamente al grano duro coltivato con pesticidi e glifosato”. Sul glifosato permangono infatti ancora dubbi circa il suo grado di cancerogenicità e la stessa Italia ha vietato, con un decreto legge dello scorso agosto, l’utilizzo del glisofato, seppur in maniera parziale. Rischi sì, dunque, ma sembrerebbe che l’Italia, così come altri Paesi europei, possano ancora utilizzare la forza della propria legge in casi come questo. E invece non sarà così.

E qua entra in gioco la clausola sopracitata. Si chiama Multilateral Investment Court Project. Un progetto in fase di elaborazione dal settembre 2015 all’interno della Commissione europea. Come si può leggere in maniera chiara sul sito ufficiale dello stesso organo di Bruxelles, l’idea ricalca una struttura già presente nel WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Si tratta dell’utilizzo di un tribunale arbitrale internazionale per risolvere le dispute che intercorrono fra gli attori che hanno sottoscritto un trattato internazionale. Tra il nuovo progetto e la struttura presente nel WTO esiste però una sostanziale differenza. Mentre l’Understanding on Dispute Settlement dell’Organizzazione Mondiale del Commercio prevede che possano essere solo gli Stati ad avere il diritto di ricorrere all’arbitrato, nel nuovo progetto della Commissione c’è un’aggiunta, pericolosissima. Il Multilateral Investment Court Project, proprio perché multilaterale, prevede che siano le aziende ad avere il diritto di chiamare gli Stati ad una disputa arbitrale e non viceversa.

“The system of investor-to-State dispute settlement (ISDS) based on ad hoc commercial arbitration”, “Un sistema di una disputa tra investitore e stato gestito da un arbitrato commerciale creato ad hoc”. Parole scritte nero su bianco sul sito della Commissione europea. Si legge poi che “sia il CETA che l’FTA previsto con il Vietnam prevedono la messa in opera di tale meccanismo che diverrà permanente”.

Perché una simile clausola è pericolosissima per noi cittadini europei? Come detto sopra alcuni Stati del Vecchio Continente hanno una legislazione interna, tra cui l’Italia, che limita l’utilizzo del glisofato, per comprovati rischi eco-sanitari. Con il Multilateral Investment Court Project un’azienda canadese può portare qualsiasi Stato europeo, che abbia ratificato il CETA, davanti ad un tribunale off-shore se questo ostacola in qualche modo l’operato dell’azienda. In quel caso lo Stato avrà due possibilità. O utilizzare un ingente quantità di risorse finanziarie per sostenere la causa (difficilissima da vincere considerati gli squadroni di avvocati di cui sono dotate le grandi aziende). Oppure rinunciare alla disputa e dare ragione alle aziende. Con tutte le conseguenze eco-sanitarie del caso. La salute dei cittadini europei e l’ambiente in cui vivono saranno dunque presto subordinate agli interessi di aziende canadesi e vietnamite. E questo pare essere solo l’inizio.

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