SOSTA – A proposito dei tassisti, nessuno scandalo: per difendere il lavoro, bisogna difendere gli interessi corporativi

Un tassista, intervistato su Radio Uno a proposito della protesta contro leggi che avvantaggerebbero multinazionali come Uber, ha detto: “Noi non difendiamo la nostra corporazione, difendiamo il lavoro.”

Ora, capiamo che in certi momenti tanti ragionamenti non si fanno e spesso si risponde per slogan, ancor meglio se son quelli che l’opinione pubblica vuol sentirsi dire, ma va detto che una risposta di questo tipo è una sorta di tautologia.

Il bravo tassista, forse perché se ne è vergognato, non ha detto una sacrosanta verità, ovvero che per difendere il lavoro bisogna difendere gli interessi corporativi.

Certo, lo sappiamo che queste parole suonano male alle orecchie dei contemporanei, piene zeppe di “rumoracci” liberisti o/e socialisti, ma è proprio così. Lo ripetiamo a scanso di equivoci: per difendere il lavoro, bisogna difendere gli interessi corporativi.

Ma non solo per difendere il lavoro, anche per difendere la qualità del lavoro.

Offriamo uno schema per capire il rapporto che c’è stato nel corso della storia tra proprietà privata e libero mercato.

Comunismo: NO alla proprietà privata, NO al libero mercato.

Anarchismo: NO alla proprietà privata, SI al libero mercato.

Corporativismo: SI alla proprietà privata, NO al libero mercato.

Liberismo: SI (condizionato) alla proprietà privata, SI al libero mercato.

Letto questo, diciamo qualcosa sul sistema corporativo nei confronti del quale va tutta la nostra simpatia e (ciò che più conta) di quella dell’autentica Dottrina Sociale della Chiesa.

Il sistema corporativo ha caratterizzato l’economia europea dall’Alto Medioevo fino al XVIII secolo.

Si tratta di un istituto che si fonda su tre elementi base: la Tradizione, la Famiglia e la Proprietà privata.

La Tradizione: il riconoscimento che il modello sociale non va inventato bensì riconosciuto, perché elemento iscritto nell’ordine naturale.

La Famiglia: il riconoscimento di essa come cellula fondamentale della società.

La Proprietà privata: la sua legittimità come garanzia di libertà individuale e sociale.

Nel sistema corporativo ovviamente non mancava la centralità dell’elemento religioso: ogni corporazione aveva il suo santo protettore, i propri cappellani, la propria chiesa, le proprie festività, etc…

Ma qual era la particolarità di questo sistema? La corporazione era una sorta di “famiglia professionale” che riuniva quelle famiglie che erano dedite ad una ben precisa arte o mestiere, per chiedere all’autorità politica di proteggere e garantire la proprietà privata di quella ben precisa arte o mestiere, impedendone ad altri (se non accettati) l’accesso.

Per una serie di motivi facilmente intuibili, l’Illuminismo (in particolare) e la modernità (in generale) attaccarono il sistema corporativo utilizzando l’argomento secondo cui il suo fissismo impedisse lo sviluppo tanto della qualità della produzione quanto della ricchezza. Falso. Tali accuse erano solo motivate da interessi di trasformazione del sistema. Va detto, infatti, che nell’ambito delle singole corporazioni non era impedito (anzi) il sistema concorrenziale, che inevitabilmente garantisce l’innalzamento della qualità. In tale sistema si salvaguardavano due principi: da una parte nei singoli artigiani vi era tutto l’interesse a migliorare le proprie manifatture per vincere la concorrenza; dall’altra si evitava l’improvvisazione e la speculazione perché ogni artigiano doveva esprimere livelli standard qualitativi ed economici.

Per quanto riguarda l’accusa che il sistema corporativo impedisse la produzione della ricchezza, va detto che anche questo tipo di accusa era completamente falsa. Il sistema corporativo, proprio perché salvaguardava la dinamica concorrenziale, non reprimeva la volontà di lavorare e produrre. Per non parlare di tutto il sostegno umano che tale istituzione conferiva, promuovendo un vero e proprio mutuo soccorso tra i membri sul modello familiare.

L’Illuminismo operò una dura lotta contro il corporativismo promuovendo un’idea di proprietà privata sganciata da qualsiasi vincolo sociale. E così nel XVIII secolo nacquero il liberismo e il libero mercato. Esponente importante fu Adam Smith (1723-1790).

Da qui, dopo tutta una serie di passaggi che per motivi di spazio non facciamo, si è arrivati al cosiddetto “mercatismo“: dopo la distruzione della struttura proprietaria della famiglia professionale corporativa si è giunti a distruggere anche la proprietà della singola famiglia con il libero mercato azionario.

Insomma, tornando al caso dei tassisti. Essi giustamente protestano. Siamo dalla loro parte.

Il mestiere non è qualcosa che può essere trattato come una pura merce. Il mestiere è un’arte che si apprende, che si eredita, su cui si suda e sui cui si fanno sacrifici.

Il mestiere non è un “mercato”, è una proprietà che non si può alienare a capriccio e rendere un bene volatile come un paio di scarpe o un iphone

…ed è giusto difendere la proprietà, non il mercato.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri

 


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