di Corrado Gnerre
Tutti possono fare esperienza del Mistero del Natale, tutto è chiamato ad inchinarsi dinanzi ad esso e ad adorarlo: il mondo minerale e quello vegetale con l’incenso e la mirra dei Magi; il mondo animale con il bue e l’asinello (che la tradizione vuole vicini al Bambino Gesù per procurargli calore); il mondo dei sapienti e dei potenti ancora con i Magi venuti da lontano. Ma il racconto evangelico tiene a sottolineare quanto il mondo dei semplici –quegli umili pastori a guardia delle greggi– sia stato scelto come la prima realtà a cui quel mistero andasse palesato.
Il mistero dell’Incarnazione è il Dio che si fa uomo per rivelarsi all’uomo; per dire all’uomo che Dio è incontrabile fisicamente e che la salvezza è in relazione a questo incontro.
Un Dio non solamente da studiare, ma soprattutto da incontrare. O meglio: la salvezza non come esito di uno studio e di una comprensione del mistero, ma come esito di un’apertura del cuore nei confronti di esso: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Matteo 11,25).
Da qui il perché degli umili pastori come primi testimoni della venuta nel mondo del Redentore. A loro è data per primi la buona notizia, perché a loro è dato maggiormente capire ciò che non basta solo capire, ma che piuttosto bisogna amare.
Il mistero dell’Incarnazione pone il Cristianesimo in un’originale posizione –unica rispetto alle altre religioni– di valorizzazione dell’umiltà. Precisamente di una duplice umiltà: non solo di quella solita, che tutti possono intendere, ma anche di quell’umiltà di chi si pone dinanzi al reale in maniera non intellettualistica.
Insomma, non solo l’umiltà come semplice virtù, ma anche quella di chi si stupisce dinanzi al reale.
L’umiltà come semplicità.
Ed ecco perché dapprima a dei pastori.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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