CATECHISMO DI S.PIO X – Commentato per voi (n.141)

Rubrica a cura di Pierfrancesco Nardini


Domanda: In quanti modi si commette il peccato attale?
Risposta: Il peccato attuale si commette in quattro modi, cioè in pensieri, in parole, in opere e in omissioni.


Nel ribadire che “i peccati di parole e di opere sono sempre preceduti dall’avvertenza della mente e dal consenso della volontà” e che, “se manca uno di questi elementi, l’opera non è peccato, anche se è cattiva in se stessa” (Dragone), è insegnata da sempre una suddivisione in tipologie del peccato attuale: pensieri, parole, opere e omissioni.

I peccati di parole e di opere sono peccati per così dire esterni, estrinseci. Questi, infatti, sono facilmente percepibili dagli altri. Sono “ ‘di commissione’, perché sono commessi con un atto positivo della volontà” (Dragone).

Se una persona bestemmia, chi gli sta vicino se ne accorge. Se si compie un’azione criminale, chi la subisce ed eventuali testimoni la vedono chiaramente.

I peccati di opere e parole sono, insomma, una messa in atto di un pensiero, in modo istantaneo o anche non istantaneo, ad esempio quando si programma un omicidio e lo si compie dopo qualche tempo.

Al di là della minor comprensione della gravità dei peccati dei nostri giorni, questo tipo di peccati, in linea di principio, è facilmente comprensibile nella loro gravità, perché chi li commette ha la “tangibilità” di quel che compie e anche l’evidenza delle conseguenze, difficilmente negabili.

Se per il diffuso “analfabetismo cattolico” sopra accennato, diventa complicato per ormai sempre più persone comprendere alcuni peccati “di azione”, si immagina la maggior difficoltà di avvertire la necessità di porre attenzione anche a pensieri e omissioni.

Il Dragone continua spiegando che questi ultimi due tipi di peccati sono quelli che restano nel proprio interno, che non si estrinsecano in parole o opere (di pensiero) e quelli in cui non si compie un atto prescritto, dovuto (di omissione).

Questi sono peccati al pari dei primi due tipi, nonostante alcuni pensino che il non averli estrinsecati li renda non peccaminosi.

Desideri e cattivi propositi sono peccati ben più problematici, per certi versi, di quelli “di commissione”, dato che molto spesso non gli si dà peso e dopo un po’ di tempo ci si abitua a farli (questo può valere anche per i peccati di azione: si pensi alla bestemmia che diventa intercalare).

I peccati di pensiero e quelli di omissione sono, forse, quelli su cui ci si deve “allenare” di più nell’avvertenza, dato che la loro non consistenza, il loro caratterizzarsi per un’inazione, può facilmente farli passare in sordina e/o non farli risaltare come peccati.

Sono considerati peccati di pensiero quelli che “si compiono con le sole facoltà spirituali, intelletto e volontà” (E. Jone, Compendio di teologia morale).

Rientrano tra questi la cosiddetta dilettazione morosa o delectatio morosa , con cui si intende il piacere di qualcosa di peccaminoso, “il piacere che si prova pensando a cose cattive e compiacendosene” (Dragone), ma anche la c.d. compiacenza peccaminosa o gaudium (“la volontaria compiacenza di un’opera cattiva compiuta o da noi o da altri”, Jone, op. cit.) e il desiderio cattivo (“la brama di compiere un’azione cattiva”, Jone, op. cit.).

Per cadere in un peccato di pensiero non serve necessariamente indugiare nella compiacenza, ma anche solo un momento di consenso.

Come spiegato, è necessaria l’adesione al peccato (piena avvertenza e deliberato consenso), quindi la volontà di peccare, di indugiare in un comportamento peccaminoso o che espone al rischio di peccare. La perfettissima Giustizia divina non attribuisce mai più di quel che è dovuto e ciò vale anche in questi casi.

C’è, ad esempio, un’importante distinzione di cui tenere conto: la differenza tra la suddetta dilettazione morosa e un semplice pensiero su una cosa peccaminosa. È importante perché c’è tutta la differenza tra peccato e non. Nella prima, infatti, ci si compiace e/o ci si allieta di una cosa cattiva a cui si sta pensando, cosa che invece non si fa nel semplice pensiero (al massimo ci si compiace della conoscenza di quella cosa, che è ben diverso dal compiacersi dell’atto in sé). Il secondo, insomma, “può essere lecito, anzi persino obbligatorio, per acquistarsi per esempio le necessarie cognizioni, come è il caso di medici o di confessori” (E. Jone, op. cit.). Diventa peccato, veniale, solo nel caso in cui si nutra con la curiosità (leggi qui); diviene invece grave se, senza motivo valido, per questo pensiero ci si espone al pericolo di peccare mortalmente.

Altra distinzione che fa capire la perfezione della Giustizia divina è la cosiddetta liceità posteriore di un atto: se, cioè, un atto peccaminoso nell’attualità diventerà lecito in futuro (ad es. due fidanzati che dopo il Matrimonio possono avere atti sessuali), è sempre e comunque peccato farlo ora (quindi i due fidanzati compiono quegli atti prima del Matrimonio).

Alleniamoci a tenere a bada anche i pensieri e a rispettare tutti i nostri doveri, così da non sottovalutare quei tipi di peccati che, per la loro caratteristica, risultano più difficili da comprendere.


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