COMMENTO CATECHISMO DI SAN PIO X: nn.152-153

Rubrica a cura di Pierfrancesco Nardini


Domanda: Tra i peccati mortali quali sono più gravi e funesti?
Risposta: Tra i peccati mortali sono più gravi e funesti i peccati contro lo Spirito Santo e quelli che gridano vendetta al cospetto di Dio

Domanda: Perché i peccati contro lo Spirito Santo sono dei più gravi e funesti?
Risposta: I peccati contro lo Spirito Santo sono dei più gravi e funesti, perché con essi l’uomo si oppone ai doni spirituali della verità e della grazia, e perciò, anche potendolo, difficilmente si converte.


In molti passi del Nuovo Testamento vengono riportate parole di Nostro Signore che sottolinea come solo chi crede sarà salvo, “non morirà in eterno”.

Per salvarsi, dunque, si deve credere in Lui e credere in Lui significa credere alla verità. Questo si fa con l’aiuto della grazia divina.

La spiegazione dei peccati cosiddetti contro lo Spirito Santo altro non è quindi che l’opporsi alla distribuzione delle grazie che vien fatta, appunto, dalla Terza Persona della Trinità.

Il danno grave che comporta questo tipo di peccato non è l’impossibilità che sia perdonato (ogni peccato, finché si è in vita, potrà essere perdonato, affermare il contrario significa continuare ad andare contro la Verità rivelata; semmai ci vorrà più fatica, sarà più difficile degli altri, dato che si continua ad opporsi alla verità e alla grazia). Il vero funesto danno è che chi si oppone alla grazia, che lo Spirito Santo porta ad ognuno, difficilmente si salva, perché di fatto chiude la porta al Signore, “impedisce a Dio di salvarlo” (Dragone).

Tornando alla possibilità di perdonare anche questi peccati, alcuni evidenziano il passo del Vangelo di Marco (3, 28-30) in cui Nostro Signore Gesù dice che chi vi cade “non ha perdono in eterno, ma è reo di un peccato eterno”, sempre con l’intenzione di suggerire che Cristo abbia insegnato che questi peccati non sono perdonabili. Questo andrebbe però contro l’istituzione della Confessione e tutte le verità rivelate. Gesù, con questa espressione, si riferiva alla suddetta chiusura del peccatore che non dà con questo atteggiamento sbocchi alla grazia divina portata dallo Spirito Santo. Si pensava a chi “scientemente e volontariamente dispera della divina misericordia e non crede possibile il perdono” o a “chi presume di salvarsi senza compiere le necessarie opere meritorie” o ancora a “chi conoscendo la verità rivelata la respinge” (Dragone).

I peccati contro lo Spirito Santo sono la disperazione della salute, la presunzione di salvarsi senza merito, impugnare la verità conosciuta, l’invidia della grazia altrui e l’impenitenza finale (v. n. 152).

La disperazione è “perdere ogni fiducia di poter raggiungere l’eterna felicità e di avere i mezzi indispensabili a questo fine” (E. Jone, Compendio di teologia morale). Non si devono comprendere in questo peccato situazioni come ad esempio alcuni stati d’animo e di paura che capitano alle anime giuste, la c.d. impressione sensibile di disperazione (in sostanza angustie e angosce con espressioni esagerate che però non sono reali distacchi da Dio) e men che meno le “disperazioni” dei peccatori abituali, i quali in verità non disperano realmente della possibilità dell’aiuto divino, quanto della propria cooperazione a quell’aiuto.

“Pecca di presunzione di salvarsi senza merito chi trascura di fare le opere buone, dicendo che Dio è misericordioso e che lo salverà all’ultimo momento” (Dragone). Questa è una convinzione che, purtroppo, va sempre più diffondendosi ed è frutto di un malinteso significato della Misericordia divina. Non si tiene conto in particolare del comando di Cristo “se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19, 17) e la successiva ammonizione di San Giacomo sull’importanza delle opere (Gc 2, 24-26).

Il terzo peccato contro lo Spirito Santo, impugnare la verità conosciuta, è ben comprensibile. Si parla di chi, pur conoscendo le verità rivelate, decide di non seguirle, di non comportarsi di conseguenza, dando maggior valore alle proprie convinzioni, cioè a se stesso. E’ una sorta di paziente che non segue le prescrizioni del medico. San Gregorio Magno spiegava che “non solo respingono la verità, ma la invidiano negli altri e non vogliono che la sua benefica luce e la sua virtù giungano al popolo e lo salvino”.

Invidia della grazia altrui è, invece, “il peccato di chi è dispiacente delle buone qualità, dei successi e delle grazie altrui, quasi fossero un suo male personale, ed è contento del male degli altri, quasi fosse un bene per lui” (Dragone). È quel che capita al diavolo. Egli è invidioso dei beati in Cielo, ove lui non potrà mai accedere, e anche per questo tenta gli uomini e cerca di trascinare quante più anime possibile nella dannazione eterna.

La cosiddetta impenitenza finale è l’ostinazione a rimanere nel peccato fino al termine della propria vita. Chi si ostina anche in punto di morte e alla fine della vita continua a rifiutare la conversione commette il peccato con le conseguenze più funeste, perché dopo quel momento non ci sarà più possibilità di salvezza.

Il mezzo più efficace per non cadere in questi terribili peccati è l’affidamento totale a Maria Ss.ma che (la Chiesa da sempre e tutti i santi lo hanno insegnato) è vicina ad ogni anima, anche nei momenti finali della vita e basta un semplice “sì” ad un Suo sguardo per fare una buona morte.


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