La “saggezza” della Consulta: il mafioso anche se non collabora con la giustizia può considerarsi “rieducato”

La Consulta, nel merito del cosiddetto ergastolo ostativo, ha dato ragione alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ribadendo come motivazione l’imprescindibilità del valore rieducativo della pena.

Si tenga presente che allo stato attuale eventuali “permessi premio” per i sottoposti a tale tipo di ergastolo contemplano la necessaria condizione che si offra una collaborazione con le indagini giudiziarie.

Ebbene, tanto la Corte dei diritti dell’uomo quanto la Consulta hanno affermato che ciò non sarebbe giusto e rispettoso della dignità del reo, dovendo essere la pena sempre e comunque rieducativa.

Ma qui si palesa una contraddizione enorme. Rieducazione non può voler dire solo riconoscere la gravità del reato ed esserne eventualmente pentiti, ma anche essere convinti che nella guerra tra Stato e criminalità organizzata bisogna sempre essere dalla parte dello Stato. Se si decide di non collaborare, vuol dire che su questo punto non si hanno proprio le idee chiare. E allora quale tipo di rieducazione può esserci?

Insomma, fin quando non si collabora con la giustizia, vuol dire che rieducazione non c’è stata; e, se non c’è stata, a che pro dover e poter premiare?

In realtà, come abbiamo già avuto modo di scrivere (clicca qui), si tratta della tipica illusione neoilluminista e sociologista secondo cui il campo delle responsabilità individuali nel comportamento morale sarebbe ridotto al lumicino, se non addirittura completamente annullato.

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