Commento al Catechismo di San Pio X (n.211)

A cura di Pierfrancesco Nardini


Domanda: Che proibisce il decimo comandamento: non desiderare la roba d’altri?

Risposta: Il decimo comandamento: non desiderare la roba d’altri, ci proibisce l’avidità sfrenata delle ricchezze, senza riguardo ai diritti e al bene del prossimo.


Il decimo comandamento si ricollega al settimo (“non rubare”), ma non si limita a condannare il furto o l’ingiustizia materiale: si rivolge al cuore dell’uomo, dove nasce l’avidità sfrenata. Esso ci proibisce il desiderio disordinato delle ricchezze senza riguardo ai diritti e al bene del prossimo. Gesù stesso ci ha indicato la via, chiudendo definitivamente la questione: “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo” (Mt 6, 19-20).

La Chiesa, nella sua perenne Tradizione, ha continuato il Suo insegnamento, affermando che la cupidigia è un pericolo mortale per l’anima, perché rende l’uomo schiavo dei beni materiali e gli fa perdere di vista il fine ultimo, che deve essere solo Dio. Nostro Signore proibisce, infatti, questo peccato non solo perché “è il principio e la causa dei danni reali che si arrecano al prossimo nella roba; inoltre perché desiderando eccessivamente i beni terreni, si dimenticano quelli eterni” (Dragone). San Paolo ammoniva con parole chiare: “L’avidità del denaro è la radice di tutti i mali, e alcuni, per averla seguita, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori” (1Tm 6, 10). L’attaccamento disordinato alle ricchezze, quindi, non è solo una deviazione morale, ma un vero e proprio ostacolo alla vita spirituale.

Il decimo comandamento non si limita a regolamentare le azioni esterne dell’uomo, come fa il settimo comandamento, ma va più in profondità, mirando ai desideri nascosti del cuore. Per evitare di cadere in questo peccato, Sant’Agostino consigliava: “Ciò che possiedi, possiedilo; ma non lasciare che esso possieda te” (Sermone, 177). Infatti, questa è la chiave per comprendere il precetto divino: i beni materiali non sono cattivi in sé, ma diventano pericolosi quando l’uomo si attacca ad essi in modo smodato, facendone un idolo e dimenticando Dio. San Tommaso d’Aquino insegna che la cupidigia è contraria alla giustizia e alla carità, perché porta l’uomo a desiderare ciò che appartiene ad altri e a vivere con un animo inquieto. “L’avidità è un peccato contro la giustizia, perché porta l’uomo a desiderare di possedere più del giusto, spesso a scapito del prossimo” (Summa Theolologiae, II-II, q. 118, a. 1). Il vero cristiano, invece, sa che la ricchezza non è nei beni terreni, ma in Dio.

La soluzione alla cupidigia, quindi, non è il rifiuto assoluto dei beni materiali, ma il loro giusto uso, con un cuore distaccato e rivolto al Regno di Dio. Il decimo comandamento ci invita a una purificazione interiore: non basta evitare il furto o l’ingiustizia, ma bisogna vigilare sul cuore, perché, come ripetuto spesso nei precedenti commenti, il peccato nasce prima nel desiderio. Solo chi si esercita nel distacco cristiano e mette Dio al centro della propria vita può davvero vivere nel rispetto della legge divina. La ricchezza è un mezzo, non un fine: chi ne fa il suo idolo si condanna a una continua insoddisfazione, perché non troverà mai lì la verità e la completezza. Solo chi cerca Dio sopra ogni cosa trova la vera gioia.


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