Il giudice e il tempo

di Corrado Gnerre


Si tratta di un racconto un po’ surreale (ma nel senso buono del termine).  Tutti avvertiamo nel nostro animo un fastidio per il trascorrere del tempo. No, non è la paura d’invecchiare né quella di ritrovarci più deboli e precari … sarebbe sciocco. E’ qualcos’altro che ci infastidisce: il fatto che possano andare perdute quelle sensazioni che avvertiamo più umanamente vere.


“Signor *, abbiamo solo poco tempo! Deve parlare, non ha altra possibilità di scelta.”

Detto ciò, il giudice abbassò la testa e unì le mani.

 “Ormai il suo silenzio non ha più alcun significato. -riprese con maggior vigore- Non ricaverà nulla con un simile atteggiamento!”

Questa volta non abbassò il capo. Fissò, invece, severamente colui che gli stava dinanzi e che continuava a non pronunciar parola: “Di lei so già tutto, sappiamo già tutto! Ma abbiamo bisogno che confessi, che sia lei ad ammettere ciò che è stato capace di fare!”

Questa volta il giudice accompagnò alle parole un impietoso dito puntato: “Le ho detto che ormai non c’è più tempo. Mancano solo pochi minuti. Se si deciderà a parlar prima, sarà bene anche per lei. Come può pretendere di danneggiarsi in questo modo?!”

Il volto del giudice sembrò mostrare un’espressione meno severa: “Può iniziare, se vuole, dalla sua pretesa di non cambiare. Oppure può iniziare dalla sua volontà di credere che qualcosa si possa ancora conservare. O, al limite, dalla sua ingenuità che vorrebbe che il tempo non può nulla se…”

Il giudice sapeva bene chi fosse l’imputato, e soprattutto era certo della sua colpevolezza. Fremeva, piuttosto, di non riuscire ad estorcere quella confessione che diveniva sempre più indispensabile, man mano che i minuti trascorrevano. Ma l’imputato continuava a tacere…impassibilmente taceva.

“Non mi dica che ha dolore a ricordare! -il giudice riprese con aria minacciosa- Lei che ha fatto del ricordo un chiodo fisso. Lei che sembra non saper far altro se non ricordare, stupidamente ricordare! Parli! Parli! Prima che sia troppo tardi, parli!! Ammetta che è stato Lei a compiere quella orribile cosa. Ammetta che solo Lei poteva pensare che qualcuno potesse…Va bene, va bene…come vuole lei, allora. -il giudice sembrò arrendersi- Qualcosa di gravissimo è stato compiuto; nessuno avrebbe potuto mai immaginare che si potesse arrivare a tanto…”

Il giudice preferì far silenzio per qualche secondo. Abbassò nuovamente il capo. Lo rialzò: “Allora?! -urlò- Allora?! Vuole continuare ancora così?! Non ho difficoltà ad ammettere che mi serve la sua confessione; che a tutti noi serve la sua confessione. Ma questo non la autorizza a credere di essere dalla parte della ragione. Né a credere che abbiamo necessariamente bisogno di lei. Lei sa che noi sappiamo. E sappiamo bene tutto quello che ha pensato e compiuto. Lei sa ciò che ha avuto il coraggio di compiere. Lei sa che tutti l’hanno condannata e la condannano. Lei sa che qui, e fuori di qui, non c’è nessuno disposto a credere nella sua innocenza e a darle fiducia!”

Il giudice dovette tacere per riprendere fiato. Poi, ad un tratto, i rintocchi di un vecchio pendolo in una stanza accanto: dodici rintocchi. Il viso del giudice sembrò impallidire a quell’ascolto. “Ormai è finita -esclamò- ha avuto ragione lei. Nulla è cambiato. Forse, con la sua voglia di ricordare ci ha voluto dire che ciò che ha il potere di mutare le cose non è il tempo, bensì il cuore. Siamo gli stessi anche adesso. Sono lo stesso anche adesso. Ha avuto ragione lei e la sua pretesa di non credere che basti solo il tempo a cambiare”.

Una porta si aprì all’improvviso. “Caro, auguri! siamo nell’anno nuovo!!”

Il giudice adesso aveva una donna che l’abbracciava affettuosamente. “Ma perché te ne stai qui, dinanzi a questo vecchio specchio?” L’uomo avvertì un profondo imbarazzo. “Caro, andiamo in salotto e salutiamo gli ospiti. E’ bene che ti riposi quanto prima. Domani hai il turno in ferrovia!”


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