«Più studio l’intelligenza artificiale, più ammiro il mistero dell’uomo»

da uccronline.it

L’intervento del prof. Daniel Magazzeni, docente di Artificial Intelligence a Londra: la sua ammirazione e stupore per l’irriducibilità dell’essere umano emerge proprio al procedere dell’indagine scientifica. I robot? Una pallida emulazione del mistero umano.

 «Più procede la mia ricerca sull’intelligenza artificiale, più cresce in me lo stupore per l’intelligenza umana, per tutto ciò di cui l’uomo è».

E’ la conclusione a cui è giunto Daniele Magazzeni, docente di Artificial Intelligence al King’s College London, dove dirige il Human-AI Teaming lab.

Uno scienziato di livello che, tuttavia, non teme di evidenziare «un punto irriducibile» nel mistero dell’uomo, tanto che «tutto quello che la persona umana è capace di fare, l’Intelligenza Artificiale (A.I.) cerca di essere una pallida analogia, affascinante ed efficace in tanti ambiti, ma pur sempre un’analogia».

«Studio intelligenza artificiale ma stupito solo dell’uomo»

Ospite ad un convegno scientifico del Meeting di Rimini, il ricercatore ha raccontato dell’entusiasmo internazionale quando un computer è riuscito a vincere contro il campione mondiale di Go.

Go è un gioco simile agli scacchi ma molto più complesso. «Tutti nella comunità scientifica avevano previsto che sarebbero state necessarie diverse decadi prima che un computer fosse in grado di giocare bene a questo gioco», ha spiegato Magazzeni.

Contrariamente alle aspettative, nel 2016 il computer AlphaGo ha battuto il campione coreano Lee Sedol.

«Però, ha commentato il giovane ricercatore italiano, «ogni volta che sono chiamato a parlare in convegni di questo tipo, mostro cosa c’è dietro l’algoritmo e dietro Lee Sedol: dietro all’algoritmo ci sono migliaia di processori, centinaia di scienziati che hanno lavorato a questi algoritmi e anni di allenamento di questo codice, mentre dietro a Lee Sedol c’è un cervello e una tazza di caffè».

Inoltre, ha proseguito Magazzeni, «AlphaGo, l’algoritmo, sa solo giocare a Go, non sa fare altro; tra l’altro, se anche aggiungiamo solo una riga alla scacchiera, AlphaGo non sa nemmeno come cominciare, mentre Lee Sedol sarà un uomo che sa giocare a Go, sa guidare una macchina, sa cucinare, sa voler bene ai figli, sa parlare più lingue. Insomma, dei due cervelli quello che a me affascina di più rimane quello umano».

Il neurologo Ceroni: «L’uomo rimane un mistero»

In un altro convegno della kermesse riminese, Mauro Ceroni, docente di Neurologia all’Università degli Studi di Pavia, ha fatto un’osservazione molto simile a quella di Magazzeni.

«Il fondo di me», ha detto il neurologo, «il mio io, la soggettività è qualcosa che sta al fondo, molto dentro, è un grande mistero. Più noi cercheremo di comprendere la meraviglia di come funziona il cervello, più in qualche modo saremo aiutati ad accorgerci ancora di più della profondità, della misteriosità della persona umana».

Irriducibilità umana: non è solo questione di tempo

E non sarà solo “questione di tempo”, come dice (da, ormai, molti decenni) qualche riduzionista.

C’è un gap irriducibile e non colmabile tra l’A.I. e l’uomo.

E’ quanto ha mostrato uno studio di ricercatori della Cornell University, ripreso su The New Scientist qualche tempo fa.

In base ad una teoria algoritmica, per loro natura i computer non sono – né saranno in futuro – capaci di elaborare quei processi che ci permettono di mettere insieme informazioni e dar loro un significato.

«Non possiamo decomporre la loro coscienza in elementi indipendenti»ha riconosciuto Phil Maguire, docente di Informatica alla National University of Ireland.

«Molti dei ricercatori che lavorano sugli aspetti morali dei robot»ha osservato anche Karl Stephan, docente di Ingegneria elettrica alla Texas State University, «manifestano frustrazione per il fatto che la moralità umana non è, e non potrà mai essere, riducibile al tipo di algoritmi che i computer possono leggere ed eseguire».

«Non c’è creatività nei robot, l’intuizione è solo umana»

Non sembra però affatto frustrato il prof. Magazzeni, nemmeno quando racconta della “creatività” dell’intelligenza artificiale nel creare volti umani (tutti i volti che vede quando accedete a questo sito web non esistono, sono creazioni dell’A.I.).

Dunque, i robot possono allora creare e pensare?

Non proprio, spiega Magazzeni. «L’A.I. può lavorare o perché è programmata per fare una cosa o perché impara da tanti esempi».

Eppure l’intuizione umana (una semplice idea, ad esempio), spiega il ricercatore, «dipende da tutto quello che hai visto, che hai vissuto, e non è neanche solo quello. L’intuizione è più il riconoscimento di un nesso tra quello che hai tra le mani e una cosa che ti viene in mente».

«Ecco», ha concluso Magazzeni, «questo l’A.I. non ce l’ha, ed è importante mantenere questo rispetto e umiltà verso il cervello umano o la persona umana, rispetto invece quello che A.I. fa».

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