Rubrica a cura di Corrado Gnerre
da Il Settimanale di Padre Pio
(…) oggi si parla molto di autostima ed è quindi giusto chiedersi se si tratti o meno di un valore cristiano.
Tutto dipende dal significato che le attribuiamo. Se per autostima indichiamo la necessità di riconoscere i talenti che il Signore ci ha dato e che siamo tenuti a far fruttificare rimaniamo perfettamente nella logica evangelica.
Sappiamo che Dio ci chiederà conto di quello che non abbiamo voluto fare, come dimostra la parabola dei talenti (cfr.Matteo 25,14-30). Essere umili non significa misconoscere i doni o i talenti che Dio ci ha dato (questa sarebbe falsa umiltà) ma riconoscere -assieme a tanti nostri limiti, difetti e deficienze- anche i beni di natura e grazia che possediamo, come quelli che sono frutto della nostra intraprendenza.
E tuttavia di questi beni non ce ne dobbiamo vantare come se fossero esclusivamente nostri: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?”; “Perciò chi vanta, si vanti nel Signore” (1 Corinti 4,7; 1,31).
Anche la competizione propria del commercio, dei concorsi, delle gare sportive non è contraria all’umiltà cristiana. Lo sarebbe solo se avesse come fine il godere dell’umiliazione del prossimo.
Ma quando si tratta di mettere a servizio del prossimo le migliori competenze, o servizi, o prodotti, perché non lo si dovrebbe fare?
O perché in una partita sportiva non si dovrebbero far fruttificare le proprie capacità a gloria di Dio e godimento dei partecipanti e degli spettatori?
Tutto dipende perciò dalla buona o cattiva intenzione con cui agiamo, e dalla corretta o falsa prospettiva con cui guardiamo a noi stessi di fronte a Dio e ai suoi doni.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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