SOSTA – Se il sacerdote vuole salvare le anime, deve mirare alla santità

Rubrica ca cura di Corrado Gnerre

La più grande astuzia del demonio è far credere che la salvezza delle anime dipenda dalle capacità di ognuno. La salvezza delle anime è invece grazia; ed è attraverso la grazia e la propria santificazione che si ottengono doni meravigliosi da Dio. Questo vale per ogni cristiano. A maggior ragione vale per i sacerdoti. Come spiega molto bene padre Adolphe Tanquerey (1854 – 1932) nel suo Compendio di teologia Ascetica e Mistica. Leggiamo le sue parole.
Santificare e salvare le anime, tal è il dovere del proprio stato per un sacerdote. Quando Gesù sceglie gli apostoli, li sceglie per farne pescatori d’uomini “faciam vos fieri piscatores hominum”; perchè producano in sè e negli altri copiosi frutti di salute: “Non vos me elegistis, sed ego elegi vos ut eatis et fructum afferatis et fructus vester maneat”. A questo fine devono predicare il Vangelo, amministrare i sacramenti, dar buon esempio e pregar con fervore.
 
Ora è di fede che ciò che converte e santifica le anime è la grazia di Dio; noi non siamo che strumenti di cui Dio si degna servirsi ma che non producono frutto se non in proporzione della loro unione colla causa principale, instrumentum Deo conjunctum. Tal è la dottrina di S. Paolo: “Io piantai, Apollo irrigò, ma Dio fece crescere. Quindi nè chi pianta è qualchecosa, nè chi irriga, ma chi fa crescere, Dio: Ego plantavi, Apollo rigavit, sed Deus incrementum dedit; itaque neque qui plantat est aliquid neque qui rigat; sed qui incrementum dat, Deus”. D’altra parte è certo che questa grazia s’ottiene principalmente con due mezzi, con la preghiera e col merito. Nell’uno e nell’altro caso noi otteniamo tanto maggiori grazie quanto più siamo santi, più ferventi, più uniti a Nostro Signore […]. Se dunque il dovere del nostro stato è di santificar le anime, vuol dire che dobbiamo prima santificar noi stessi: “Pro eis ego sanctifico meipsum ut sint et ipsi sanctificati in veritate”.
 
Arriviamo del resto alla stessa conclusione, facendo passare i principali mezzi di zelo, cioè la parola, l’azione, l’esempio e la preghiera.
 
La parola non produce salutari effetti se non quando parliamo in nome e nella virtù di Dio, “tamquam Deo exhortante per nos”. Così fa il sacerdote fervoroso: prima di parlare, prega affinché la grazia avvivi la sua parola; parlando, non mira a piacere ma a istruire, a far del bene, a convincere, a persuadere; e perché il suo cuore è intimamente unito a quello di Gesù, fa vibrar nella voce un’emozione, una forza di persuasione, che scuote gli uditori; e perchè, dimenticando sè stesso, attira lo Spirito Santo, le anime restano tocche dalla grazia e convertite o santificate. Un sacerdote mediocre invece non prega che a fior di labbra, e perché cerca sè stesso, per quanto si venga sbracciando, non è spesso che un bronzo sonoro o un cembalo fragoroso, “æs sonans aut cymbalum tinniens”.
 
Il buon esempio non può essere dato che da un sacerdote sollecito del suo progresso spirituale. Allora può con tutta fiducia invitare, come S. Paolo, i fedeli a imitar lui come egli si studia d’imitar Cristo: “Imitatores mei estote sicut et ego Christi”. Vedendone la pietà, la bontà, la povertà, la mortificazione, i fedeli dicono: è un sacerdote convinto, un Santo; lo rispettano e si sentono tratti ad imitarlo: verba movent, exempla trahunt. Un sacerdote mediocre potrà essere stimato come un brav’uomo; ma si dirà: fa il suo mestiere come noi facciamo il nostro; e il ministero ne sarà poco o punto fruttuoso.
 
Quanto alla preghiera, che è e sarà sempre il più efficace mezzo dello zelo, qual differenza tra il sacerdote santo e il sacerdote ordinario? Il primo prega abitualmente, costantemente, perché le sue azioni, fatte per Dio, sono in sostanza una preghiera; non fa nulla, é dà consiglio, senza riconoscere la propria incapacità e pregar Dio di supplirvi con la sua grazia. Dio copiosamente gliela concede “humilibus autem dat gratiam”, e il suo ministero è fruttuoso. Il sacerdote ordinario prega poco e prega male; quindi anche il ministero ne è sterile.
 
Chi dunque vuol efficacemente lavorare alla salute delle anime, deve sforzarsi di quotidianamente progredire: la santità è l’anima dell’apostolato.

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