SOSTA – Perché il Rito Romano Antico è più “giovanile” e “gioioso” della Nuova Messa?

  1.  Il beato Contardo Ferrini (1859-1902), già da giovane, si recava a Messa ogni mattina. Lo accompagnava un suo fratellino. Un giorno, dopo la Messa celebrata da un sacerdote ottantenne, il piccolo chiese a Contardo: “Come mai un sacerdote così vecchio dice: ‘ad Deum qui laetificat juventutem meam?”. Il beato Contardo, battendo la mano sulla spalla del fratellino, rispose: “Devi sapere, caro Giovannino, che chi è in grazia di Dio è sempre giovane!”
  2. Pochi ci fanno caso, ma la frase che nel Rito Romano Antico si ripete più volte prima della salita all’altare da parte del sacerdote, collocata in quello spazio e in quei momenti, è un inno di tale speranza che segna una vera e propria “sconfitta del tempo”. Che cosa deve intendersi per “sconfitta del tempo”. Non certo la sua dissoluzione. Il tempo non può sparire; né tantomeno può essere cancellato. Nemmeno Dio può farlo; tant’è che ciò che accaduto e accaduto e Dio può riaggiustare, ma non cancellare l’accaduto. Piuttosto “sconfiggere il tempo” vuol dire “risolverlo”. Dove? Nell’eterno. Il tempo si risolve nell’eterno allorquando si vive di Dio, si è nelle sue braccia, ci si orienta a Lui. Nel Paradiso il tempo c’è e non c’è. C’è in quanto ciò che si vive è l’esito di quello che si è compiuto nel tempo, delle scelte fatte; ma non c’è in quanto tutto è definito, concluso nella gioia eterna che mai terminerà.
  3. Salire all’altare della Messa, la quale è il centro di tutto, il centro dell’universo intero e della storia, vuol dire salire verso l’Eterno dove non c’è più il disagio della condizione temporale. Dove non c’è la vecchiaia. Ecco perché l’anziano sacerdote del beato Ferrini, malgrado i suoi ottant’anni (forse –chissà- anche portati male) può dire: “…a Dio che letifica la mia gioventù!”
  4. Strano. Il Rito tradizionale della Messa ha una sua austerità, non sono ammesse musichette ritmate ed effimere. Nel Nuovo Rito è invece entrato di tutto: canti e stornelli. Si sarebbe portati a pensare che allora da una parte ci sia la triste austerità, dall’altra la letizia. E invece è proprio il contrario. Da una parte c’è la serietà del sacro; dall’altra la banalizzazione del sacro. La serietà del sacro risolve il profano: non lo annulla, ma lo sublima. La banalizzazione del sacro, invece, si fa sopraffare dal profano, fino a farlo divenire il vero “protagonista”. Da qui la vittoria del tempo sull’eterno, e quindi la tristezza che tutto questo comporta. E’ il mondo che trionfa con i suoi fallimenti.
  5. Ed ecco perché il Rito Tradizionale è intriso della gioia cristiana: la drammaticità della Croce risolve tutto. Invece il Nuovo Rito è profondamente triste e, con chitarre e tamburi, sembra dire all’uomo di affidarsi al mondo con i suoi maldestri rumori e sciocche musichette, piuttosto che a Colui che ha vinto il mondo e ai suoi melodiosi silenzi.

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