SOSTA – 16 aprile: San Giuseppe Labre. Colui che c’insegna a camminare sempre

San Giuseppe Benedetto Labre (1748-1783), ovvero una vita di mistero. Morì ad appena trentacinque anni consumato dalla fatica. Ma da quale fatica? Quella di pellegrinare.

Nacque in Francia e giovanissimo avvertì la chiamata a consacrarsi al Signore. Decise di entrare prima tra i Certosini e poi tra i Trappisti, ma non riuscì a rimanervi anche a causa di una malattia che aveva contratto. Per la sua guarigione fece voto di recarsi in pellegrinaggio a Roma qualora avesse beneficiato della grazia. Così fu: guarì e si recò a Roma. Pellegrinando verso la Citta Eterna capì che il Signore lo chiamava ad una vocazione originalissima, quella appunto di pellegrinare per tutta la vita e di pregare camminando.

Era sempre in viaggio. Volle visitare tutti i più importanti santuari: in Italia, in Francia, in Spagna. Camminando, pregava. Raggiunta poi la meta, si metteva in adorazione per ore ed ore dinanzi al Santissimo Sacramento. Non chiedeva mai l’elemosina, eppure la Provvidenza faceva sì che incontrasse sempre qualcuno che gli desse da mangiare o che lo ospitasse.

Ovviamente non morì nel suo letto (perché non lo aveva), ma ospitato da un macellaio di Roma che lo ricoverò nel retro della sua bottega, dopo che il Santo si era sentito male a causa delle fatiche, dei digiuni e delle rinunce.

Una vita come quella di san Giuseppe Benedetto Labre insegna tante cose.

Prima di tutto conferma come non esistono santi uguali, ma che ognuno si santifica nella sua specialissima vocazione. Nel caso del Nostro in un’originalissima vocazione, quella di essere sempre in pellegrinaggio.

E ciò c’insegna anche un’altra cosa. Ovvero quello di metterci dinanzi ad un’evidenza: la nostra precarietà nel mondo. Di quanto cioè sia sciocco mettere radici su questa terra come se non la dovessimo mai lasciare. Nel Canto XIX della Gerusalemme liberata Argante soccombe sotto i colpi di Tancredi, ma cerca di morire sembrando vittorioso: …e vuol morendo anco parer non vinto. Ecco la stoltezza umana. Pensare di morire apparendo non moribondi. Credere cioè che si possa sfuggire all’inesorabilità della morte. Certo, sul piano logico tutti sono convinti che alla morte non si possa sfuggire; ma poi sul piano pratico si vive come se la morte non ci fosse. E’ la follia del mettere radici sulla terra.

San Giuseppe Labre insegna invece che la terra è solo un passaggio…. e che, fin quando si è qui, si deve camminare.

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