Il peccato originale non ha generato il lavoro, bensì la fatica, ovvero la durezza del lavoro, e così anche la possibilità che il lavoro, pur necessario, non trovi sempre perfetta corrispondenza nel desiderio dell’uomo. E’ il rischio di trovarsi a fare cose in cui non ci si riconosca, in cui tutto si presenti appesantito e impietosamente gravoso. Eppure, anche nella condizione post-peccatum, c’è la possibilità di scorgere la bellezza della propria fatica. E’ quando la si offre nella convinzione che vada ad inserirsi in un’armonia governata da Dio. Diceva santa Teresina di Lisieux che anche raccattare da terra un misero ago ha un valore infinito se fatto nella grazia di Dio e per suo amore. Ecco: la bellezza della propria fatica è inserirla in questo Significato. Un Significato che tutto ammorbidisce e che arriva a mitigare anche la più spossante stanchezza, perché le offre una sublime “ragione”.
Ci sono momenti in cui non solo non serve parlare, bensì dire qualcosa potrebbe anche essere dannoso.
Ci sono momenti in cui bisogna solo concentrarsi e aiutare, lavorando non su ciò che è palesemente chiaro, bensì su ciò che spesso è nascosto, misterioso, apparentemente incomprensibile.
Trovarsi accanto un proprio caro che sta soffrendo, e per giunta la sua è una sofferenza di cui non se ne capisce bene la causa, è qualcosa che spinge non a parlare quanto piuttosto ad intervenire con un sorriso, una carezza, una stretta di mano. Le parole possono certamente servire, ma dopo.
Quella sofferenza costringe chi è accanto ad un intervento, ma preciso su quel misterioso punto che non si palesa con chiarezza.
E’ un po’ ciò che avviene in una sala chirurgica. Le parole sono centellinate. Il chirurgo è tutto concentrato su ciò che deve fare, le sue mani agiscono spesso sul “piccolo” e un banale errore potrebbe pregiudicare tutto. Il fisiologo inglese sir George Murray Humphrey (1820-1896) diceva: In chirurgia gli occhi sono la prima cosa e la più importante, le dita quella immediatamente successiva, la lingua viene per ultima ed è la meno importante. Dunque, prima guardare, poi intervenire, e infine parlare. Non il contrario.
Il chirurgo ha un corpo inerte dinanzi a lui, e proprio perché è a servizio di quel corpo, deve prima di tutto osservare, poi intervenire e solo se è necessario parlare.
Il chirurgo richiama un’evidenza: che il prossimo, più lo scopriamo bisognoso, più lo scopriamo impotente dinanzi a noi… allora ancor più lo dobbiamo servire. Servire con attenzione (sguardo), con cura (intervento), senza lamentarci (parlare).
Russell John Howard (1875-1942) dice giustamente: La persona più importante in sala operatoria è il paziente.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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