BELLEZZA DELLA FATICA – L’infermiere

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


Il peccato originale non ha generato il lavoro, bensì la fatica, ovvero la durezza del lavoro, e così anche la possibilità che il lavoro, pur necessario, non trovi sempre perfetta corrispondenza nel desiderio dell’uomo. E’ il rischio di trovarsi a fare cose in cui non ci si riconosca, in cui tutto si presenti appesantito e impietosamente gravoso. Eppure, anche nella condizione post-peccatum, c’è la possibilità di scorgere la bellezza della propria fatica. E’ quando la si offre nella convinzione che vada ad inserirsi in un’armonia governata da Dio. Diceva santa Teresina di Lisieux che anche raccattare da terra un misero ago ha un valore infinito se fatto nella grazia di Dio e per suo amore. Ecco: la bellezza della propria fatica è inserirla in questo Significato. Un Significato che tutto ammorbidisce e che arriva a mitigare anche la più spossante stanchezza, perché le offre una sublime “ragione”.


Chi s’impegna a fare ciò che nessun altro farebbe, a meno che non fosse un parente stretto?  Chi farebbe qualcosa con competenza, che altri, nemmeno un parente stretto, non potrebbero fare? L’infermiere.

Quando si pensa alla cura, si pensa ai medici. Da un certo punto vista è anche giusto che sia così, perché il medico è chiamato a curare. Ma -ahinoi- spesso curare viene inteso con guarire, da qui quell’errore secondo cui le malattie cosiddette inguaribili potrebbero essere anche definite incurabili. Errore pericoloso, perché se è vero che ci sono malattie per cui non c’è guarigione possibile, è pur vero che non esistono, né potrebbero esistere, malattie incurabili. Tutte le malattie devono essere curate, perché tutti gli ammalati devono essere curati.

Curati fino all’ultimo momento che dona la Provvidenza di Dio. E la cura viene affidata all’infermiere.

E’ la figura dell’infermiere che testimonia che non può esserci resa possibile; che anche quando la terapia farmacologica va fermata, non può mai essere interrotta l’assistenza, cioè il badare al paziente fin nei bisogni più stringenti e più intimi.

Quando un infermiere cura un moribondo, agli occhi del mondo sembra fare una cosa inutile, visto che ormai il destino è la fine. E invece quell’infermiere sta facendo una cosa tutt’altro che inutile, sta ricordando al mondo quanto è grande il mistero di quel povero ammalato.

Anche la rosa dopo poco tempo sarà destinata ad appassire, eppure la si innaffia con amore. E infatti scrive Antoine de Saint-Exupery: È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.


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1 Comment on "BELLEZZA DELLA FATICA – L’infermiere"

  1. Dico la mia sugli infermieri.
    Aprile 2022, rassegnato ad andare all’ospedale dopo due mesi di sopportazione del mal di orecchie e ricerca infruttuosa di un medico non prono alla montatura del virus e delle mascherine: dopo 8 ore di attesa in sala di aspetto, vengo visitato, ed oltre all’otite mi trovano anche un diabete a quasi 300. Così, trattenuto per farmi assumere l’insulina, dopo qualche tempo vedo che la cosa va per lunghe.
    Scusi – chiedo all’infermiere – mi sa dire quanto ci vorrà ancora? «xyzq». Come scusi? «xyzq». …lei mi deve perdonare, ma non ho capito…
    Allora l’infermiere si avvicina di un passo, e dice, con atteggiamento poco degno della sua professione: «Ore. O-ERRE-E».
    NB: era presente pure quell’infermiere, quando il medico mi chiese: Quanti vaccini ha fatto? Uno, due tre, quattro..?».
    «Non ne ho fatto NEANCHE uno», ho risposto. Da quel momento, avvertii benissimo di essere entrato in antipatia a quell’infermiere.

    (Meno male che il Signore non paga tutti i sabato, ma quando paga, paga il giusto).

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