SOSTA – La Storia come “tragedia” o come “commedia”?

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


E’ indubbio che quando l’uomo riflette sulla storia, tanto quella universale quanto quella particolare della sua vita, pensa ad un “accompagnamento” di ciò che lo possa liberare da una solitudine cosmica. Sentirsi solo nel suo esistere, senza che ci sia qualcuno che lo possa accompagnare e assistere è ciò che l’uomo non può sopportare.

L’intervento di Dio nella storia non è stato però sempre pensato allo stesso modo. Per esempio, c’è un’originalità cristiana che va tenuta presente. Per capirla  paragoniamola alla concezione dell’intervento divino nella storia secondo la mentalità del mondo classico, cioè del mondo greco-romano.

Agire per sé o agire per il Bene

L’uomo del mondo classico riteneva che gli dèi intervenissero nella vita degli uomini, ma era anche convinto che tali interventi fossero sempre causati da motivazioni personali. Gli dèi erano concepiti in maniera antropomorfica, con le stesse virtù ma anche con gli stessi difetti degli uomini. Anzi tutto ciò era portato a livelli superiori. Il loro intervento per aiutare o per ostacolare qualcuno era causato da simpatie e antipatie che avevano come causa solamente fattori personali e contestuali. L’epica sulla Guerra di Troia insegna molto a riguardo.

L’uomo cristiano, invece, è tenuto a pensarla diversamente. Per lui, Dio interviene nella storia; ma tale intervento ha solo ragioni oggettive, non personali e contestuali. L’uomo cristiano è convinto che Dio non agisca nella storia attraverso motivazioni di simpatia e antipatia, ma tenendo conto di ciò che è oggettivamente vero e di ciò che oggettivamente falso, di ciò che è oggettivamente giusto e di ciò che è oggettivamente ingiusto. Dio è dalla parte del Bene ed è sempre contro il male. Dio è dalla parte della Giustizia ed è sempre contro l’ingiustizia.

Libertà mortificata o libertà valorizzata

Tutto ciò, ovviamente, si riflette sulla libertà umana. Nel mondo antico all’uomo non era riconosciuta un’autentica libertà sul piano storico. Certamente l’uomo poteva decidere, ma l’esito vero delle sue azioni doveva rientrare necessariamente nella volontà di chi naturalmente lo sovrastava, ovvero gli dèi e, sopra gli dèi, il Destino.  Nel mondo cristiano no. L’uomo è protagonista della sua storia. E’ lui che decide come agire, è lui a decidere se essere buono o cattivo, se essere giusto o ingiusto. Ovviamente, le conseguenze di come l’uomo si comporta ci sono tutte, ma è sempre l’uomo, in prima persona, a decidere che orientamento morale dare alle sue azioni. Si tratta, insomma, della differenza tra fatalismo e provvidenza. Il fatalismo è quello del mondo antico: la vita dell’uomo è totalmente decisa e diretta dal Destino. La provvidenza è del mondo cristiano: Dio interviene nella storia dell’uomo, ma per aiutare la libertà umana, non per sostituirsi ad essa.

Capriccio o disegno?

Ma c’è dell’altro. Il mondo antico non sa riconoscere un “disegno” divino sulla storia. Si potrebbe obiettare: ma non abbiamo finora parlato addirittura di fatalismo? Non dobbiamo confondere: un conto è ammettere che il divino entri nella storia fino ad assorbirla totalmente mortificando la libertà umana, altro è riconoscere che questo intervento del divino risponda ad una logica, appunto ad un “disegno”. Ciò che il mondo antico afferma a riguardo è che la vita dell’uomo è sottomessa ai capricci degli déi e, a loro volta, gli dèi sono sottomessi al capriccio del Destino. La parola chiave è proprio “capriccio”, che sottende la dimensione irrazionale, casuale e istintiva. Non così nel mondo cristiano, dove l’intervento di Dio è proprio nella dimensione del “disegno”. Si tratta di un intervento pensato, logico, che è finalizzato necessariamente al Bene in quanto il Bene non è una decisione arbitraria di Dio, bensì la sua stessa natura. Dio s’identifica con il Bene.

Tutto ciò sul piano esistenziale ha degli effetti gratificanti. Ogni accadimento è sempre permesso da Dio e se può sfuggire all’uomo la conoscenza del singolo significato, non sfugge la convinzione che il Significato di ciò che sta avvenendo è conosciuto e pensato da Dio per il bene della vita dell’uomo. Dunque, l’uomo può non sapere il motivo del perché sta attraversando una prova di dolore, ma lo stesso fatto che tale prova stia accadendo, vuol dire che in Dio c’è un significato importante. Ciò, esistenzialmente, rende possibile la sopportazione della sofferenza. Celebre è la frase di san Giovanni della Croce (1542-1591), ripresa anche da san Pio da Pietrelcina (1887-1968) nel suo Epistolario: La vita, vista dall’al-di-qua, è come il retro di un ricamo, cioè solo un groviglio incomprensibile di fili. Quando invece vedremo la vita dall’al-di-là, essa sarà il ricamo visto dalla parte davanti e quindi capiremo come a quel groviglio incomprensibile di fili corrispondeva un disegno perfetto.

Tragedia o commedia?

In conseguenza di ciò che abbiamo detto viene fuori un diverso modo di vedere la vita. Nel mondo antico la vita si palesava nella sua indiscutibile tragicità. Se all’uomo non compete la decisione, se l’uomo altro non è che una sorta di burattino in mano a forze che impietosamente lo sovrastano, allora tutto tragicamente non ha un senso. Ed ecco perché l’uomo greco raggiunge la sua massima consapevolezza esistenziale nel genere tragico. Ed ecco anche perché Sofocle fa dire a un suo personaggio che l’uomo è un inutile peso sulla faccia della terra.

Ovviamente non è così per il mondo cristiano. La constatazione della libertà dell’uomo, la constatazione della sua responsabilità ma anche della sua grandezza di poter costruire un destino di eterna beatitudine o di eterna dannazione, conferiscono un’inevitabile positività della vita che non figura più come realtà all’insegna dell’ineluttabilità, bensì all’insegna della possibilità e della libertà. Ed ecco perché l’uomo cristiano, a differenza di quello greco ed antico, trova la massima consapevolezza esistenziale non più nel genere tragico. La più grande espressione letteraria che la civiltà cristiana ci ha donato è una commedia: la Commedia di Dante. In essa l’autore, che è il pellegrino del viaggio, anche quando passa attraverso la tragicità delle scene infernali, conserva la speranza, quella speranza che è oltre l’inferno e il purgatorio, che sarà nel Paradiso, quando il Poeta potrà finalmente contemplare l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza 

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