RACCONTO PER “I SANTI INNOCENTI” – La morte di Erode

di Corrado Gnerre


L’uomo senza la luce finisce con l’odiare se stesso, avvertendo il peso di una vita a cui non poter dare significato. Erode, colui che emblematicamente avversò la “luce che venne nel mondo”, (talmente l’avversò da volerla uccidere, da volerla eliminare fisicamente) morì con una terribile infezione: dalle sue pudende si produssero dei vermi che arrivarono a distruggerlo, cioè a roderlo. Lo racconta Giuseppe Flavio (37-100) nella sua ‘Guerra giudaica’.  La vita senza luce, è vita talmente bassa da trasformarsi in cibo per vermi. E così anche Erode sarà arrivato ad odiare se stesso. 


La stanza era buia. Un odore insopportabile invadeva il locale. Ogni tanto qualcuno apriva la porta per consegnare un po’ di cibo a colui che stava quasi immobile sul letto. Un letto prezioso, di legno pregiato e con rifiniture di oro zecchino.

Si trattava di un moribondo importante e che si sentiva ancora potente. Avvertiva l’imminenza della morte e, per questo, aveva voluto ordinare che fossero condotti a Gerico molti illustri Giudei per farli rinchiudere nell’ippodromo e ordinò anche che venissero uccisi subito dopo la sua morte. Sapeva che nessuno avrebbe pianto la sua morte, e così –pensò- quel massacro sarebbe servito almeno a far piangere i familiari di quei malcapitati. Per il potere aveva fatto di tutto, perfino uccidere i suoi figli: Alessandro, Aristobulo e Antipatro.

Ma il potere –si sa- è una strana bestia: oggi ti dà, domani ti toglie; oggi ti lusinga, domani ti avvilisce. Si tratta di un avvilimento che si trasforma in odio verso se stesso perché quell’aspettativa di dominio si fonda sul proprio desiderio e sulla propria ambizione, ma è proprio quel desiderio e quell’ambizione a naufragare dinanzi alla precarietà dell’esistere.

Adesso quel moribondo così potente era lì, sul proprio letto disfatto: a stento poteva muovere qualche arto. Sentiva putrefare la propria carne e, malgrado se ne fosse assuefatto, avvertiva ugualmente quanto puzzo emanasse il suo corpo.  Ad un certo punto pensò: Nel pensiero avevo scorto la mia salvezza.  Nel potere di essere riverito vedevo tutto me stesso.  Ricercavo continuamente qualcuno che mi ricercasse … credevo di poter vivere in questo modo. Ora tutto sparisce.  Sparisce il mio corpo. Spariscono le mie ossa. Il tanfo della mia malattia inonda le sale della reggia. La mia reggia, prima visitata, poi rifiutata.  Il ricordo, certo, l’ho ottenuto. Ma ho ottenuto anche la morte che credevo non dovesse mai arrivare … e invece è qui assillandomi il destino.  No. Non sono pentito.  Sono solo riuscito a confermare l’odio verso me stesso. Ho amato il potere. Non mi ha fatto paura l’odio verso me stesso. Il potere è finito, l’odio verso me stesso non mi abbandonerà mai più. Sento questo puzzo che mi invade le narici. La mia carne si sta putrefacendo dinanzi ai miei occhi. Mi odio nuovamente. Il potere non mi ha salvato. Il potere non mi salvato dal mio odio verso me stesso. 

Mentre pensava a questo, vide aprirsi la porta. Evidentemente era qualcuno che veniva come il solito a portargli un po’ di cibo. No. All’aprire della porta si diffuse un tenue, delicato, chiarore azzurro che inondò rapidamente il locale. Il puzzo sembrò sparire, anzi: sparì del tutto. In un certo qual modo l’uomo sembrò riacquistare forza.

Ad un tratto si presentò un’immagine dinanzi ai suoi occhi stanchi. All’inizio non si vedeva bene, poi i contorni si fecero nitidi. Si trattava di una donna che aveva in braccio un bambino appena nato. La donna accarezzava dolcemente il piccolo. L’immagine si faceva sempre più nitida. Poi la donna parlò: Son venuta a dirti che preghiamo per te. Sono una mamma di uno di quei bambini che tu hai fatto uccidere. Sono venuta a dirti che tutti quei bambini pregano per te.

Il moribondo si scosse. Per un attimo sembrò quasi intenerirsi, ma gli fu fatale avvertire quanto i suoi arti avessero riacquistato vigore; gli fu fatale avvertire la sparizione di quel puzzo insopportabile; gli fu fatale il pensare di poter essere guarito. Gli fu fatale, perché nella sua mente subito si affacciò il pensiero del potere, della vendetta, dell’essere lusingato. E allora l’immagine scomparve. Scomparve quel tenero chiarore azzurro. Ritornarono le ombre, ritornò l’oscurità e il puzzo nauseabondo. I suoi arti si paralizzarono nuovamente. La stanchezza tornò ad attanagliarlo. La morte si adagiò al suo fianco in un’impietosa attesa.

Al moribondo non restò altro che tornare ad odiarsi.


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