La necessità della tenerezza
Solo il Cattolicesimo (nessun’altra religione lo fa) offre all’uomo la possibilità di rimettere il proprio destino tra le tenere braccia di una Madre. Da sempre la ricerca della tenerezza accompagna il rammarico per le proprie mancanze, così come accompagna l’ansia per ciò che accadrà e per la propria inadeguatezza dinanzi a ciò che riserverà il tempo. Quante volte ci chiediamo: “Ce la farò” e “Chi mi aiuterà?” Si tratta di quella tenerezza che dona la vera “compagnia” al proprio esistere, che colma lo sguardo del bambino che può trovare solo in quello della mamma la risposta alle proprie paure. Il bambino invoca lo sguardo della mamma e la mamma guarda il bambino e gli dona…la tenerezza. La tenerezza è una delle perenni ricerche dell’uomo; non per giustificarsi e farsi perdonare i propri sbagli, ma per avvertire il “calore” in una vita che chiede, che invoca, che pretende una Risposta; una Risposta che sia anche un tenero abbraccio, come quello della madre che fa appoggiare il capo del bimbo al suo seno e lo culla, accarezzandolo. Ogni uomo (indipendentemente dalla sua cultura, dal ruolo che riveste nella società e dal suo stato economico) ricerca la tenerezza; e il Cattolicesimo –che è la vera religione- è la religione della tenerezza per eccellenza, perché è l’unica religione che ha posto una Mamma come via privilegiata per la salvezza di ognuno.
Giorgio anche questa volta ce l’aveva fatta. Ciò che doveva fare l’aveva fatto bene; e aveva deciso di cambiare definitivamente aria. “Se questo colpo riuscirà –aveva pensato prima della rapina- me ne vado. Sì, me ne vado all’estero. Cambierò definitivamente aria…e non rischierò più la vita.” Ecco perché adesso Giorgio correva.
I suoi pensieri, però, non riuscivano a correre. Ormai da tempo, da troppo tempo, erano sempre lì su quella stessa immagine, tanto remota ma tanto presente.
Davvero Giorgio voleva smettere di rapinare per non rischiare più la vita, o era qualcos’altro da cui voleva fuggire?
Erano già passati due anni da quel fattaccio, ma per Giorgio era come se fossero passati solo pochi minuti. Non riusciva a dimenticare quel gioielliere poco più che trentenne che tremava tutto e che non avrebbe mai reagito. Giorgio ancora non riusciva a capire se lo aveva voluto veramente fare o il colpo era partito per caso. Resta il fatto che quel giovane uomo era morto sul colpo, lasciando moglie e tre bambini.
A Giorgio questo fatto dei bambini gli martellava la testa. Perché così piccoli e già così soli? Lui sì che lo sapeva cosa significasse rimanere solo, senza padre, ad appena dieci anni. Sapeva anche che quella brutta vita l’aveva iniziata proprio perché non aveva avuto nessuno che lo guidasse.
Aveva appena dieci anni. Fu terribile quel giorno in cui seppe della morte del papà. E sapeva già che sulla mamma non poteva contare; non perché non ci fosse, ma perché era sempre stata una poco di buono. Il marito non l’aveva mai amato e faceva una vita tutt’altro che onesta. Al piccolo Giorgio quel giorno cascò il mondo addosso.
Il giorno dopo, ai funerali, c’erano pochissime persone: gli amici del bar con cui il papà giocava a briscola e tracannava birra. Gente che in Chiesa non entrava nemmeno a Natale e a Pasqua. La mamma, poi, fingeva tristezza, ma forse era addirittura contenta per quello ch’era successo.
Don Pino, il parroco, che conosceva di che pasta fosse fatta la mamma, fu l’unico ad aver compassione del piccolo Giorgio. Dopo i funerali, lo prese, lo abbracciò forte (poche volte era stato abbracciato fino ad allora), lo portò dinanzi alla statua della Madonna e gli disse: “Giorgio, vedi quanto è bella la Mamma di Gesù. Lo sai che la Madonna è la Mamma di Gesù, ma anche la Mamma di tutti noi? E’ anche la Mamma tua, Giorgio.”
Giorgio aveva capito che quelle parole di don Pino significavano che lui una vera mamma non l’aveva, non l’aveva mai avuta; e adesso non aveva neanche il papà.
Questi erano da sempre i pensieri di Giorgio. Anche adesso che correva per andare fuori, fuori dell’Italia, per cambiare aria.
Pensava a quel povero papà che aveva ucciso; e pensava a quell’antico dolore che lo aveva fatto rimanere solo.
Oggi poi era l’otto dicembre, il “Giorno dell’Immacolata”, come dicevano al suo paese. Quel giorno il papà andava nella baracca sotto casa e prendeva i “tavoloni”, cioè grossi assi di legno per fare il presepe. Quel giorno lui si sentiva il bambino più felice del mondo. Ad un tratto un pensiero si affacciò alla sua mente: “Quei tre bambini che la sua pistola aveva reso orfani come stavano vivendo il ‘Giorno dell’Immacolata’? Che forse anche quell’uomo faceva come suo padre?”
Le sue gambe correvano ancora, ma la sua mente ormai si era impantanata. A che pro continuare a scappare? Cambiando aria, avrebbe potuto cambiare anche i suoi pensieri?
Correva, correva…ad un tratto (la strada era affollatissima di gente che faceva le compere per l’occasione) si scontrò con una bimba e le fece cadere una grossa busta. Tutto finì a terra: pastori, muschio, carta roccia e si ruppe una bella fontana di terracotta. La bimba iniziò a piangere e a gridare ad un uomo che le era accanto: “Papà, si è rotto, si è rotto tutto ciò che mi hai regalato!”
Giorgio avrebbe voluto fermarsi per aiutare quella bimba, per chiederle scusa. Ma perché? Lui, che rapinava, poteva forse intenerirsi dinanzi ad una bimba che piangeva?
E intanto continuava a correre. Quando improvvisamente si sentì una sirena di polizia. Che lo stessero cercando? Giorgio pensò che conveniva non rischiare. Si trovò dinanzi ad una Chiesa ed entrò. Il sacerdote era sull’altare. La Messa era quella del giorno di festa. “Ma perché?” si chiese. “Ah già! –capì subito- oggi è il “Giorno dell’Immacolata!” Non sapeva che fare, ma adesso non poteva uscire. Doveva attendere. Se cercavano lui, la polizia non sarebbe mai venuto a cercarlo in una chiesa. Si sedette. Poi si alzò. Non riusciva a seguire la Messa perché non si ricordava nemmeno come fosse fatta. Mentre camminava nervosamente, si avvicinò ad una cappella laterale. Vi entrò. Era tutta illuminata e piena di fiori. Era la cappella dell’Immacolata. “Guarda, guarda –pensò- la statua è proprio uguale a quella di don Pino!” Strano. Don Pino gli aveva detto che la Madonna Immacolata era anche la sua mamma; e proprio il Giorno dell’Immacolata lui era solito sentirsi il bambino più felice del mondo. Il giorno dei “tavoloni” e dell’inizio del presepe.
C’era un uomo anziano inginocchiato. Una bambina arrivava adesso e depositava un bel fiore ai piedi della statua. Giorgio si commosse, s’inginocchiò anche lui. Capì che la sua corsa adesso era finita.
Quell’aria nuova che tanto cercava, l’aveva trovata lì, ai piedi di quella statua. La sua vita si era rovinata dopo ch’era stato ai piedi di quella statua, ora poteva ricominciare tutto, sempre lì …ai piedi della stessa statua.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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