APOLOGETICA ASSAPORANDO …un misto di formaggi

L’uomo è l’unico essere sulla faccia della terra che cucina. Gli animali no, non lo fanno. Anche in questo l’uomo si distingue. Ciò è il segno che all’uomo non basta solo assaporare, bensì ricerca l’affinamento, cioè il miglioramento del sapore. L’uomo coglie il piacere del gusto e desidera ancor più intensificarlo. E’ l’esito del suo essere collocato in un orientamento in cui tutto concorre per il raggiungimento di un fine attraverso singole tappe. Insomma, un orientamento che è itinerario, dove ogni passo deve essere progressione verso un vero che sia sempre più Vero, un buono che sia sempre più Buono ed un bello che sia sempre più Bello.


L’oratore dopo aver detto quello che doveva dire, ed essere stato molto attento a curare la chiarezza e l’eleganza del suo discorrere, cerca, per poter chiudere, una significativa espressione che sigilli. Non si tratta di sintetizzare ciò che ha appena detto quanto di attestare con una bella chiusura l’esattezza di ciò ha detto.

Se si passa a ben altri campi, per esempio a quello della vita, in ognuno di noi vi è l’esigenza di andare verso qualcosa che sia consistente e sia pienamente sigillante. Il famoso Totò, tra le sue celebri e bislacche espressioni, ne aveva una che diceva: “E’ sempre la somma che fa il totale”. Sembra una banalità, addirittura una banalità scontata da far invidia a monsieur de la Palisse, ma, se ci si riflette, tanto scontata, e soprattutto tanto banale, non è. Piuttosto essa ricorda che ci sarà sempre una riconduzione di tutto ciò che facciamo; che il male non la potrà fare franca e che il Bene, anche quello più nascosto, sarà infine riconosciuto.

Tutto questo è significato da un ineludibile senso dell’attesa che contraddistingue la vita umana; solo quella umana perché solo l’uomo, oltre a vivere, sa di vivere. Cesare Pavese, poco prima di morire disperato, scrisse nel suo Diario: “Che cosa tremenda è pensare che nulla noi sia dovuto… ma allora perché attendiamo?”. Ovvero, lo scrittore piemontese dice, nel suo nichilismo, che non c’è nulla che verrà offerto come novità perché, secondo lui, non ci sarebbe nessuna ragione oltre il vivere, quindi non ci sarebbe alcun Dio. Ma, sempre lui, deve però riconoscere che nell’uomo c’è un evidente ed ineliminabile desiderio di attesa: “…ma allora perché attendiamo?”.

Dunque, quando ormai la vita volge al tramonto, all’uomo non può bastare il pensare che tutto diventerà più piccolo e più leggero. No, l’uomo desidera che tutto diventi più grande e più consistente.

Come in un buon pranzo di festa! Dopo il secondo piatto con i relativi contorni, viene presentato un ricco misto di formaggi, che serve sì a chiudere il pranzo, ma offrendo non la leggerezza bensì una consistenza che in un certo qual modo è ancora più consistente di ciò che si è assaporato prima.

Perché c’è un desiderio che non sparisce: di completare ciò che si è fatto di buono o di riparare con un gusto sapore ciò che si è sbagliato. Giustamente la scrittrice Eugene Briffault (1799-1854) dice: “Il formaggio completa una buona cena e integra una cattiva”.

Insomma, la sua consistenza è sempre desiderata… ed è sempre utile.


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