Per la festa dell’Assunta… leggi questa novella

Le lacrime di Gianna

da Dino Focenti, Novelle da raccontare in famiglia… per le feste dell’anno, Casa Mariana Editrice, Frigento (Avellino) 2016. 

La preghiera è il gesto umanamente più vero, perché l’uomo è grande non quando crede di trovare in sé quella forza che non può avere, ma quando umilmente s’inginocchia.

E’ allora (solo allora!) che l’uomo capisce…e può coraggiosamente piangere.

 Sì: coraggiosamente. Perché il pianto vero non è un capriccio, ma l’invocazione di un significato, la ricerca di una compagnia con la quale poter dissolvere tutte le paure.


 Gianna sorseggiava un buon bicchiere di latte freddo e guardava le sue due bimbe che le facevano compagnia al tavolo della prima colazione.

Gianna le aveva portate al mare, in quella bella pensioncina dove era stata anche lei, piccolina, con i suoi genitori.

Quella mattina guardava le due figliolette con molta più tristezza. Già le compativa da tempo: poverine, avere un papà che un bel giorno, come se fosse la cosa più naturale del mondo, aveva detto a lei, Gianna, e anche alle bambine: “Mi sono innamorato di un’altra, non posso più vivere con voi…” e se ne era andato.

E quando chiedevano come se non avessero capito nulla: “Ma quando torna papà?”, Gianna non sapeva cosa rispondere e cercava di cambiare discorso: “…che bell’uccellino, lì, sull’albero! Domani compreremo un bel vestito nuovo, sai? Vogliamo fare un bel dolce con tanta cioccolata?…

Ogni qual volta Gianna incrociava lo sguardo delle sue bambine sentiva prenderle un groppone in gola. Avrebbe voluto piangere per le sue bambine, ma non poteva farlo. Avrebbe voluto parlar chiaro, ma non poteva farlo perché le sue bambine ancora non potevano capire.

Quella mattina il pianto era proprio irresistibile e una lacrima le scese solcando la guancia.

Mamma, che fai piangi?” Le disse Martina, la più grande.

Gianna cercò di negare, poi accennò un sorriso forzato e con una mano si asciugò la lacrima. E subito, come sempre, una frase per “aggiustare tutto”: “Forza! Sbrighiamoci che la spiaggia ci attende!”, ma non fece in tempo a terminare che un cliente della pensione annunciò che il cielo si era annuvolato e che stavano già cadendo le prime gocce di pioggia. Era il giorno di Ferragosto e tutti commentarono con i più vari disappunti. Gianna allora cambiò proposta: “Bimbe! Prenderemo l’auto, vi porterò in un posto bellissimo.” Ma non sapeva dove.

Intanto il cielo diventava sempre più scuro.

In auto Gianna ripensava alle parole di Alessandra, dottoressa come lei e che era rimasta al lavoro. Gianna da qualche tempo avvertiva strani disturbi, aveva deciso di sottoporsi a degli accertamenti, poi era partita in attesa delle risposte incaricando l’amica di leggerle non appena fossero pronte. La sera prima Alessandra l’aveva chiamata sul cellulare e le aveva detto: “Gianna, non ti preoccupare, c’è qualcosa, ma siamo ancora in tempo. Basta avere pazienza e passerà tutto. Anche Giulia ce l’ha fatta.” A Gianna venne spontaneo gridare un “No!!”; e in quel “No!!” c’era tutto, c’erano soprattutto gli sguardi delle sue bimbe che già non riusciva ad incrociare per colpa del loro papà. Adesso quelle povere bambine avrebbero avuto anche una mamma malata, incapace a farle uscire, senza la forza di dover sorridere più del dovuto.

Intanto l’auto andava senza méta. Era ormai fuori l’abitato, percorreva la bella scogliera a strapiombo sul mare. Gianna avvertì una strana tentazione: perché non farla finita? Una sterzata e poi il buio; anche le sue bambine non avrebbero più chiesto: “Ma quando torna papà?”, e poi da adesso in poi: “Mamma, come ti senti? Ce la fai oggi ad accompagnarci a scuola? Mamma, ma perché hai perso tutti i capelli? Cosa ti è successo? Mamma, ma quanti giorni starai ancora in ospedale? Perché non torni subito?…

Questi pensieri riempivano la testa di Gianna; poi si girò per un attimo verso le sue bambine. Le fecero tanta tenerezza così sicure e serene sotto la sua protezione. “Mamma –chiese improvvisamente Martina- ci avevi detto che ci avresti portato in un posto bellissimo.

Gianna accennò l’ennesimo sorriso: “Sì, sì, amore. Vi sto portando in un posto bellissimo.

Ma intanto Gianna pensava: “Se solo ci fosse stato ancora lui al mio fianco, almeno le bambine non avrebbero sofferto tanto della mia malattia…

Mamma, e il posto bellissimo?” Incalzava Martina.

Ecco, ecco…” Sospirava Gianna che riguardò le sue bambine; e non ebbe il coraggio di sterzare.

Lo strapiombo sul mare finì presto, il cielo sembrò riaprirsi e il sole iniziò a scottare. “Che bello!” Dissero insieme le bimbe.

Alla fine della salita, Gianna si ritrovò dinanzi ad una Chiesa, doveva essere un Santuario perché aveva dinanzi tante auto parcheggiate. Gianna non entrava in una Chiesa da vent’anni, le sue bimbe forse non c’erano mai state. Non erano state nemmeno battezzate, perché così Gianna e suo marito avevano voluto.

Gianna fermò l’auto, prese le sue bimbe e si diresse verso l’entrata della Chiesa.

Martina chiese: “Mamma, dove ci porti?

Adesso vedrai.” Le rispose.

Nella Chiesa c’era tanta gente. Era il 15 agosto e quel Santuario era proprio dedicato alla Vergine Assunta.

Gianna, appena entrata, scoppiò a piangere e, come se avesse avuto una spinta irresistibile, s’inginocchiò. Adesso sentiva che finalmente poteva piangere, sfogare tutte quelle lacrime che aveva dentro e che fino ad allora non aveva mai potuto cacciare via. Anche le sue bimbe imitarono la mamma e s’inginocchiarono, videro la mamma piangere ma non le chiesero nulla.

Gianna continuava a piangere e osservava l’imponente statua dell’Assunta e più l’osservava più avvertiva dentro di sé sparire l’angoscia. Guardò le sue bimbe, le trovò ancora in ginocchio senza che chiedessero nulla. Stettero così ancora per qualche minuto, poi uscirono.

Appena fuori, Martina le disse, forse perché non era mai stata in una Chiesa: “Grazie, mamma, per averci portato in un posto così bello.

Gianna allora capì tutto, ma capì soprattutto che da quel giorno non sarebbe più stata sola a scontare le fatiche e le sofferenze che il futuro le avrebbe riservato.


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