SOSTA – La filosofia o nasce dalla meraviglia …o è pericolosa

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


Tanto Platone quanto Aristotele ne erano convinti: la filosofia, quella vera, non può che nascere dalla meraviglia. La meraviglia, però, per poterci essere davvero, ha bisogno di una precondizione, e cioè che si riconosca che ciò a cui si è dinanzi sia vero, sia reale e non una propria costruzione mentale. Il bambino si meraviglia dinanzi alle cose perché sa bene che non solo ciò che osserva è vero, ma anche che non è qualcosa che ha prodotto lui. La filosofia moderna smarrirà la meraviglia per un motivo facilmente intuibile, perché essa si fonda sull’illusione di rendere l’uomo fondamento di tutto e, pertanto, eleverà il pensiero individuale a criterio della realtà. Il razionalismo affermerà che esiste solo ciò che può essere pensato dall’uomo; l’empirismo che esiste solo ciò che può essere sperimentato dall’uomo. A tal proposito leggiamo una citazione tratta da un’utile testo di Stefano Fontana, dal titolo Filosofia per tutti (Verona 2016): Ma gli uomini conoscono in modo uguale? Conoscono nozioni uguali? C’è un patrimonio di conoscenze elementari comuni a tutti tali da permettere alla fede religiosa di usare un linguaggio umano e da permettere al linguaggio umano di esprimere delle aperture spontanee e naturali verso il messaggio della fede? Su questo punto la filosofia classica e quella moderna si contrappongono decisamente. Se davanti alla meraviglia umana c’è l’essere nella sua universalità, allora una conoscenza comune e un linguaggio reale universale sono possibili. Se, invece, all’origine c’è l’uomo con la sua coscienza sperduta e con le sue domande dubbiose, allora non sarà possibile, né l’inizio né in seguito, godere di conoscenze comuni. Secondo San Tommaso, all’inizio della conoscenza sta un’intuizione con cui l’intelletto conosce tutto l’essere, seppure in modo implicito e confuso. Per l’intelletto succede come per l’occhio. L’occhio vede se c’è la luce, se non c’è la luce esso non vede. Lo stesso per l’orecchio e il suono. Non si può vedere niente, non si può udire niente. Se si vede si vede la luce, se si sente si sente il suono. Così l’intelletto non può conoscere niente; quando conosce, conosce l’essere che gli sta immediatamente davanti. Immediatamente vuol dire senza mediazioni, senza cose in mezzo, senza processi di avvicinamento reciproco. Sono l’uno davanti all’altro, si corrispondono.(…). Molti si pongono la domanda: cosa posso conoscere? Oppure la domanda ancora più radicale: posso conoscere? Scelgono di partire dall’individuo sperduto e dubbioso piuttosto che dall’incontro originario tra essere e pensiero che si realizza nella meraviglia. (…).


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