IL RACCONTO – Per l’inizio del Mese di Maggio, leggi questa novella

L’altarino del Mese di Maggio

di Corrado Gnerre

Un disastro nella vita di Anna, malgrado il ricordo della nonna che pregava il Rosario e che amava i bambini. Un disastro angosciante che invoca un’inimmaginabile Speranza. Quando tutto sembra perduto, riaffiora la Speranza. L’alba spunta quando la notte è più nera.

La nonna aveva preparato l’altarino. Era lei che ci pensava. Il 30 aprile pomeriggio si dava da fare perché tutto doveva essere pronto per il giorno dopo: per l’inizio del mese di maggio. La statua dell’Immacolata bene in vista. Sotto, una bella tovaglia ricamata; intorno, tanti fiori freschi. Poi lei, la nonna, radunava tutti i nipoti per recitare il Rosario. E i nipoti c’erano tutti, ma, con il passar degli anni, diminuiva il numero: i più grandi, perché presi da tante cose, dimenticavano l’ “appuntamento”; i più piccoli rimanevano.

La nonna abitava al piano di sotto in un piccolo appartamento, ma bello perché dava su un giardino che per tutti quei bambini era una grande attrazione.

Anna era la più piccola di quei nipoti e adesso aveva ventisei anni. Lei, proprio perché era la più piccola, aveva avuto spesso il privilegio di stare sulle ginocchia dell’anziana donna.

La nonna era morta già da tanti anni. Il suo cuore si era improvvisamente fermato proprio un lontano 30 aprile di sedici anni fa, dopo che aveva finito di addobbare l’altarino che sarebbe servito per tutto il mese di maggio. Anna aveva allora dieci anni. Era ancora una bambina e avrebbe voluto continuare a recitare il Rosario dinanzi a quell’altarino, ma ormai la nonna non c’era più… e i genitori non erano certo i tipi da preoccuparsi di far fare a dei bambini il mese di maggio.

Così anche Anna aveva dimenticato tutto… o quasi: le era rimasto il ricordo dell’altarino. La pratica religiosa l’aveva abbandonata da anni. Le sue idee erano tutt’altro che “vicine alla Chiesa”, come si suol dire. Eppure adesso stava lì, in quell’appartamento ch’era stato della nonna e ch’era rimasto sfitto, dinanzi all’ultimo altarino preparato dall’anziana donna poco prima di morire e che nessuno aveva pensato di rimuovere.

Erano anni che Anna non aveva voluto entrare in quella casa. Anni ch’erano stati un disastro. Un disastro che l’aveva gettata in un tunnel da cui non riusciva ad uscire. Aveva abbandonato gli studi: ormai terribili pensieri le ottenebravano la mente senza darle pace. Non riusciva a pensare ad un futuro per la sua vita. Anzi la vita, con il passar del tempo, le sembrava un peso insopportabile. Sempre più spesso l’era balenata l’idea di farla finita; tutto sommato le sembrava la cosa più ragionevole.

Forse proprio per questa disperazione pretendeva l’impossibile: voleva che la nonna le parlasse, le dicesse qualcosa. Anna non credeva nella preghiera e forse nemmeno nella vita ultraterrena. Eppure cercava qualche parola della nonna. Per questo aveva deciso di tornare in quell’appartamento dopo tanti anni. Ed ora era lì, dinanzi all’altarino preparato sedici anni prima.

La nonna amava i bambini e voleva che fossero accanto a lei nella recita del Rosario, anche se potevano disturbare. Anna invece aveva fatto un’altra scelta: i bambini devono arrivare quando si è preparati. Anna studiava, il fidanzato pure. Ad un tratto ciò che non ci si sarebbe mai aspettati: la vita nel proprio grembo. Io madre? Adesso? No, non è possibile. Devo laurearmi. Mi tolgo il pensiero e via… E poi non sono nemmeno sicura di Luca, non so se possa essere davvero il compagno che desidero per la mia vita.

Altro che pensiero tolto! Terribile. Inimmaginabile. Un’angoscia amplificata dal fatto che Luca non era d’accordo e che si sarebbe assunto tutte le sue responsabilità. Dunque era stata lei ad essere irremovibile e a non volerne sapere.

Si sedette su quella poltrona dove si sedeva la nonna e lei sulle sue ginocchia. Rivedeva il volto dei suoi fratelli più grandi e dei suoi cuginetti. Sentì dentro una fitta dolorosissima: avrebbe potuto anche lei adesso avere un bimbo sulle ginocchia; erano infatti passati già tre anni da quel disastro. Aveva ventitré anni e ancora pochi esami da sostenere, già stava lavorando alla tesi. D’altronde con lo studio ci sapeva fare, poi il baratro. Che strano: per la laurea aveva deciso di “togliersi il pensiero”; e invece quel “pensiero” era diventato così dirompente che la laurea adesso era da tutt’altra parte, così lontana come se non fosse stata mai il suo obiettivo primario. Ci pensava con tale gusto che per lei era tutto, adesso non ne aveva più gusto, anzi perfino la odiava. Perché?! Perché?! Se il disastro non fosse avvenuto, forse oggi sarebbe laureata e in più con una vita sulle ginocchia. Pianse a dirotto per l’ennesima volta. Lo specialista le aveva detto di avere pazienza, che il tempo avrebbe cancellato tutto. Macché! Il tempo passava e l’angoscia aumentava. Anche con Luca era finito tutto. Forse l’avrebbe voluto più deciso, ma sapeva bene che la colpa era stata solo sua. E’ che non poteva continuare un rapporto dopo il disastro.

Le lacrime continuavano a scendere copiose. L’essere voluta entrare in quell’appartamento aveva aumentato la sofferenza. Lo aveva immaginato, ma aveva voluto farlo ugualmente. D’altronde in quelle condizioni c’è quasi un desiderio di farsi sempre più del male.

Ovviamente, la nonna non aveva parlato Quanto era stata stupida a sperarlo! Forse non rimaneva che fare la cosa più giusta: punirsi definitivamente. Si alzò e smise di piangere. Era inutile continuare, era inutile continuare con quel tormento, era inutile continuare con quella vita.

Il suo sguardo andò verso la statua dell’Immacolata. La strinse tra le mani. Non capì il perché, forse solo per toccare ciò che aveva toccato molti anni prima la nonna. Scorse un foglietto sotto la base. Lo prese. Il foglietto sembrava strappato, ma la grafia chiara: era della nonna, era la grafia tipica degli anziani di un tempo: …ma a chi si pente egli offre il ritorno, consola quanti vengono meno nella pazienza. Ritorna al Signore e cessa di peccare…” Anna non poteva sapere che si trattava di parole del Libro dell’Ecclesiastico. La sua attenzione cadde su: consola quanti vengono meno nella pazienza. Lei, sì, era venuta meno nella pazienza, infatti non le restava che adempiere ciò che aveva deciso. Eppure forse c’era chi poteva consolare il suo indicibile dolore.

Anna prese quel foglietto ormai ingiallito e lo strinse al cuore. Era accaduto l’inimmaginabile: la nonna le aveva parlato.

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