Rubrica a cura di Corrado Gnerre
Tra gli strumenti di un cammino vi è la borraccia con cui portarsi dietro dell’acqua per idratarsi ogni tanto. Fuor di metafora, ne Il Cammino dei Tre Sentieri la “Borraccia” è la meditazione, che si sorseggia ogni tanto. I vari punti sono i “sorsi” della meditazione.
L’ACQUA
La Croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto servendosi non di mezzi umanamente imponenti, ma dell’apporto di uomini poco dotati.
(San Giovanni Crisostomo)
I SORSI
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Cari pellegrini, un famoso santo soleva utilizzare un esempio. Prendiamo -raccontava- una collana di perle e sfiliamole, poi andiamo a rivenderle dal gioielliere, ovviamente questi ci darà un bel gruzzoletto: le perle valgono molto. Ma se volessimo andare a rivendere il filo della collana, che faccia farebbe il gioielliere? Ci prenderebbe per matti: il filo non vale nulla. Ebbene, anche se il filo di per sé non vale nulla, esso è indispensabile affinché la collana ci sia. Senza il filo, le perle non potrebbero rimanere unite e formare un bel gioiello qual è una collana di perle. Fuor di metafora: le perle sono le virtù importanti, il filo è l’umiltà. Come senza il filo non si può avere la collana, così senza l’umiltà le varie virtù non potrebbero rimanere unite ed essere adeguatamente praticate.
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Le parole dell’acqua di questa borraccia sono tratte dal Commento alle Lettere di San Paolo ai Corinti di san Giovanni Crisostomo (349-407), Vescovo e Dottore della Chiesa, nato tra il 344 e il 354 e morto il 407.
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Esse dicono due cose. Primo: la Croce esercita una forza di attrazione. Secondo: per far trionfare la Croce, la Provvidenza si serve di uomini poco dotati.
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Che la Croce sia la spiegazione di tutto lo abbiamo detto tante volte. Ma, molto brevemente, rinfreschiamoci la memoria. Qualcuno ha definito la Croce una sorta di “archetipo della bellezza”. Ed è così. Già la sua forma dice tutto: lo “stipes” verticale e il “patibulum” orizzontale. Meglio: il “patibulum” che si regge sullo “stipes“. L’orizzontalità richiama la dimensione terrena e l’apertura verso gli altri. La verticalità, invece, l’anelito al Cielo e l’affidamento a Dio come unico Signore della propria vita.
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Ebbene, la vera vita è proprio così. Il “patibulum” non può reggersi senza lo “stipes“, e infatti non c’è amore autentico alla terra e ai fratelli se non si riconosce Dio come primo e pieno amore. Nell’Inno alla Carità san Paolo lo dice chiaramente: “Anche se donassi tutti i miei beni ai poveri, ma non avessi la Carità, a nulla mi gioverebbe.” (1 Corinti 13)
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L’altra verità che dicono le parole di san Giovanni Crisostomo è che la Provvidenza per esaltare la Croce si serve di uomini poco dotati. Anche qui viene spontaneo pensare alle parole di san Paolo quando dice che la sua forza sta proprio nella sua debolezza:“(…) quando sono debole, è allora che sono forte.” (2 Corinti 12)
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Anche questo poggia su una grande evidenza. Chi davvero capisce il mistero della vita? Solo chi sperimenta il “bisogno” sulla sua carne e nel suo destino. Petrarca (1304-1374) nel sonetto I’ pur ascolto e non odo novella scrive: “La mia favola breve è già compita / fornito il mio tempo a mezzo gli anni”. Il poeta allude al dolore per la perdita dell’amata Laura che gli impedirebbe di continuare a vivere; ma s’illude che il suo dolore sia veramente questo. Petrarca riconosce infatti una verità: la vita è una “favola breve” (…la mia favola breve…). Laura è solo un pretesto, fallito, per riempire una vita che avrebbe bisogno di ben altro.
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Ci sono solo due categorie di persone che si illudono di essere autosufficienti: gli stupidi e i folli. L’uomo intelligente no. L’uomo che sa usare adeguatamente la sua intelligenza capisce di essere sempre “poco dotato” e non si fa tentare dalla stupida illusione di farcela da sé.
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Cari pellegrini, impariamo dal filo della collana: esso non vale nulla, ma ha un compito straordinario: tenere unite le perle perché formino una bellissima collana. Anche noi siamo quello che siamo, non valiamo nulla, siamo “servi inutili” (Luca 17), eppure il Signore vuole servirsi della nostra pochezza per fare cose grandi, della nostra ordinarietà per fare cose straordinarie, della nostra banalità per costruire magnificenze.
Al Signore Gesù
Signore, confesso ancora una volta la mia debolezza. D’altronde Tu sai bene cosa sono.
Sai bene quante volte mi prefiggo di servirti come Tu vuoi, e mi ritrovo invece a doverti offrire le mie fragilità.
Ma senza di Te, quale sarebbe il mio destino?
Senza la Tua Croce, mi attenderebbe solo l’abisso.
Alla Regina dello Splendore
Madre, alcuni Padri hanno scritto che il legno con cui era fatta la mangiatoia nella quale hai adagiato il Tuo Divin Figlio appena nato era prefigurazione del legno della Croce che lo attendeva al Calvario.
Anche Tu avrai pensato a questo.
Chissà che dolore per Te!
Eppure sapevi bene che quella Croce sarebbe stato il Significato risolutivo per l’universo intero.
Sarebbe stato lo splendore di ogni bene, la soluzione di ogni dolore, il conforto per ogni desolazione.
E allora, Madre, restami accanto, insegnami ad amare la Croce e a farla amare a coloro che incontrerò nel mio cammino.
Madre, accompagnami nel cammino di questo giorno.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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