Rubrica a cura di Corrado Gnerre
Il popolo è ben altra cosa rispetto alla massa. La massa è qualcosa d’informe, che, pertanto, si lascia facilmente plasmare. Il popolo no. Esso ha una sua identità, una sua storia, delle radici. Ha un vissuto che gli permette di giudicare con buon senso il reale. E questo lo conforta di un’eredità: la saggezza. Certo, i popoli non sono uguali; perché le culture non sono uguali. C’è chi ha conquistato il Vero. Chi lo ha atteso. Chi lo ha rifiutato. Chi se ne è allontanato. Ma al di là di questo, ciò che è di natura percepisce il senso delle cose e il mistero del vivere. E, proprio perché Dio ha fatto sì che la natura fosse predisposta all’accoglienza della Grazia, non c’è buon senso popolare che non manifesta questo desiderio; al di là di ciò che la Storia dei singoli popoli partorisce. Ecco perché si può capire l’unicità e la bellezza della Verità Cattolica anche attraverso il buon senso di tutti i popoli.
Ci sono religioni, per esempio l’Islam, che hanno in sé il concetto di “giustizia complessiva”, ovvero per queste religioni Dio (o il divino) giudicherebbe ogni uomo prendendo in considerazione complessivamente tutti gli atti da questi compiuti in vita.
Il Cristianesimo, invece, ha in sé il concetto di “giustizia puntuale”, ovvero Dio giudica l’anima così come la trova in punto di morte.
Ecco perché c’è la necessità di vigilare e di tenersi sempre pronti: il giorno del Signore (e quindi anche la morte) viene come un ladro di notte, ci ricorda san Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi.
Ovviamente tutto questo non significa che non conti come globalmente si sia vissuti, tant’é che dinanzi a Dio tutto si paga. Un’anima che ha commesso nella sua vita tanti peccati, ma che ha la grazia di sinceramente pentirsi all’ultimo momento, si salverà, ma comunque dovrà scontare tutte le pene soffrendo in Purgatorio.
Ma -chiediamoci- perché il Cristianesimo s’incentra su questo concetto di “giustizia puntuale”?
La risposta è perché tutto può essere ricondotto all’attimo.
Ciò perché ogni gesto che si compie, nel bene (la virtù), nel male (il peccato), trova comunque riferimento al fine primo dell’uomo che è Dio.
Dunque, tutto ha in un certo qual modo un valore infinito: infinitamente buono o infinitamente cattivo.
Ed ecco perché non è importante quanto tempo si viva, fermo restando il doveroso amore e la doverosa custodia che si deve alla propria vita terrena.
Prendiamo i santi. Essi non sono solo diversi fra loro per temperamenti e per esperienze di vita, ma sono anche diversi per l’età.
Ci sono santi che hanno beneficiato di una lunga, alcuni anche lunghissima, vita; ci sono santi che sono morti giovani… e santi che sono morti finanche bambini.
Il tempo non è giudicabile quantitativamente; il tempo lo si deve giudicare nella sua qualità intima; ovvero in quel singolo attimo che ricapitola tutto. In Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol, la protagonista Alice chiede a Bianconiglio: “Per quanto tempo è per sempre?” Risponde Bianconiglio: “A volte, un solo secondo.” Infatti, un peccato grave può durare pochissimo, ma, se non viene assolto, causa una dannazione eterna.
Ogni cristiano deve saper vivere il momento presente, cioè l’attimo presente, come dice anche una celebre opera del canonico Pierre Feige.
E’ l’istante che dà significato al tutto. Lo scrittore Cesare Pavese diceva: “Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi“
Insomma, il cristiano dovrebbe vivere come una farfalla…che non conta gli anni, ma gli istanti.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri
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