Apologetica con i proverbi…”Quando il vino è tirato, bisogna berlo” (proverbio borgognone)

Il popolo è ben altra cosa rispetto alla massa. La massa è qualcosa d’informe, che, pertanto, si lascia facilmente plasmare. Il popolo no. Esso ha una sua identità, una sua storia, delle radici. Ha un vissuto che gli permette di giudicare con buon senso il reale. E questo lo conforta di un’eredità: la saggezza. Certo, i popoli non sono uguali; perché le culture non sono uguali. C’è chi ha conquistato il Vero. Chi lo ha atteso. Chi lo ha rifiutato. Chi se ne è allontanato. Ma al di là di questo, ciò che è di natura percepisce il senso delle cose e il mistero del vivere. E, proprio perché Dio ha fatto sì che la natura fosse predisposta all’accoglienza della Grazia, non c’è buon senso popolare che non manifesta questo desiderio; al di là di ciò che la Storia dei singoli popoli partorisce. Ecco perché si può capire l’unicità e la bellezza della Verità Cattolica anche attraverso il buon senso di tutti i popoli. 


1.La Borgogna è famosa per i suoi vini. Sono tra i francesi, i vini più importanti. In particolare i suoi Pinot Noir (per i rossi) e i Chardonnay (per i bianchi). Alcune delle zone più celebri della Borgogna sono Côte d’Or, Chablis, e Beaune, conosciute per produzioni di vini prestigiosi come Gevrey-Chambertin, Nuits-Saint-Georges, e Puligny-Montrachet.

2.L’immagine che offre il proverbio è chiara: quando il vino è pronto, bisogna berlo. La parte sottointesa si capisce facilmente: altrimenti si corre il rischio di dover bere il vino quando è troppo tardi e ha ormai perso la sua più limpida qualità, subendo per troppo tempo l’impatto dell’ossigeno.

3.Molti leggono in questo proverbio un invito ad afferrare il momento della vita, una sorta di carpe diem oraziano in versione enologica. Bere il vino al punto giusto per non perderlo, significherebbe l’importanza di cogliere l’attimo della propria vita. In realtà questo senso di lettura è sì quello corretto, ma si deve fare una riflessione.

4.Se la necessità di cogliere l’attimo vuol dire invitare se stessi ad una concezione edonistica della vita, per la serie: voglio godermi l’attimo perché domani non so cosa mi accadrà…cioè come dicono i famosi Canti carnacialeschi di Lorenzo il Magnifico:…chi vuol essere lieto sia che di doman non v’è certezza…allora tale lettura non solo sarebbe moralmente sbagliata, perché inviterebbe ad una sorta di egoismo, ma sarebbe anche non conforme all’umano, infatti non c’è cosa più triste -e anche disperante- di dover cogliere il piacere laddove tutto sarebbe all’insegna della fine, della dissoluzione, della distruzione; laddove il dopo sarebbe privo di certezza.

5.Ma se invece la necessità di cogliere l’attimo vuol dire fare attenzione al momento per non disperdere la propria vocazione che è quella di rendere gloria a Dio attimo dopo attimo, momento dopo momento, situazione dopo situazione…allora è un altro discorso. In questo caso perdere tempo, crogiolarsi in una sorta di pericolosissima accidia diventerebbero una condanna. Gesù lo dice chiaramente: bisogna vigilare, bisogna tenersi sempre pronti con le cinture ai fianchi. Quanta responsabilità ci si assume dinanzi a Dio quando si rimanda l’andare incontro al suo abbraccio e crederlo di poterlo fare successivamente, con più comodità. Come le vergini stolte della nota parabola.

6.Una gioia saporita non può essere rimandata, quando è vera Gioia con la “G” maiuscola…così come un buon vino della Borgogna non lo si può fare andare ad aceto lasciandolo troppo tempo nel calice dopo che lo si è “tirato”…ciò ovviamente non sarebbe un peccato mortale, ma certamente un peccato…culinario.


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