Le “porte” importanti della vita non si possono aprire e chiudere a piacimento

di Pierfrancesco Nardini


Ho letto sui social questa frase: “Meglio ammettere di aver varcato la porta sbagliata che trascorrere la vita nella stanza sbagliata”.
Era posta in gran risalto, come una regola d’oro.

Parole apparentemente sagge, condivise da migliaia di persone, come se racchiudessero una verità liberante: quella di potersi sempre tirare indietro, cambiare strada, ricominciare da capo. Ma a pensarci bene, dietro questa logica si nasconde una fragilità culturale e spirituale che oggi permea quasi ogni ambito della nostra vita, e in modo drammatico anche quello più sacro: il Matrimonio.

Viviamo in un tempo in cui tutto è reversibile, tutto è provvisorio, tutto sembra poter essere cambiato con un clic (come nel famoso film con Jim Carrey) o con una nuova “scelta”. Ma la vita reale, e ancor più la vita cristiana, non funziona così. Non tutto si può cambiare, e, ancora di più, non tutto deve essere cambiato.

Una prima considerazione è che ci vuole più consapevolezza e meno superficialità nelle scelte, soprattutto in quelle indissolubili.
Prima di varcare qualsiasi “porta”, soprattutto quella del Matrimonio, serve consapevolezza. Non bastano emozioni, slanci, affinità apparenti. Il Matrimonio, quello vero, quello cattolico, non è un contratto che si può rescindere, ma un Sacramento, un vincolo sacro che unisce due anime davanti a Dio in modo indissolubile.

Quando manca la preparazione interiore, quando si entra nella vita coniugale con la mentalità del “…tanto se va male, torno indietro”, è quasi inevitabile che alla prima difficoltà si pensi di aver “sbagliato stanza”.

Eppure, la vera maturità sta nel capire che la vita è fatta anche di porte importanti, che non possono essere aperte e richiuse a piacimento.
Nessuno poi potrà mai convincermi che si possa entrare in una stanza sbagliata senza accorgersene in toto o senza volerlo.
Nessuno entra volontariamente nella stanza sbagliata. Si possono fare errori di valutazione, certo; si possono prendere decisioni affrettate; si può ascoltare più il cuore che la ragione. Ma anche in quelle scelte, c’è sempre stato qualcosa di buono, qualcosa che inizialmente ci ha attratto e convinto, qualcosa di duraturo. Altrimenti davvero si è arrivati all’incapacità di distinguere l’amore dal calesse…secondo il noto film di Massimo Troisi.

Dire che una “stanza” era sbagliata è spesso un modo per semplificare una realtà molto più complessa, è un modo per giustificare la fuga.
Ma esistono davvero stanze perfette? In verità no, esistono donne e uomini che in quanto creature sono persone imperfette che cercano di costruire qualcosa insieme.

Il matrimonio non è l’ingresso in una favola, ma in una realtà viva, fatta di sacrifici, di cambiamento e di perdono reciproco. Oltre che di tutte le gioie e le grazie che ne nascono. Non è la “stanza” a essere sbagliata: sono gli atteggiamenti, le aspettative e le omissioni che, nel tempo, possono renderla buia o disordinata. È la convinzione che non si stia dentro una stanza “indissolubile”. È l’incapacità sempre più presente di prendersi le proprie responsabilità. Una stanza si può sempre aggiustare.

L’idea che, quando qualcosa non funziona, la soluzione sia gettarla immediatamente, che basti uscire da quella “stanza” e cercare altrove, è la grande illusione della nostra epoca. Una stanza che ha bisogno di aria nuova si può aprire, si può riordinare, si può ridipingere. Si può cambiare. Così anche un matrimonio si può curare, può guarire, si può rinnovare, con la grazia di Dio, la volontà reciproca e la fedeltà. Parlandosi, togliendo l’ego, pregando.

Il sacramento del Matrimonio è una promessa fatta non solo all’altro, ma a Dio stesso. È un “sì” che include le fatiche e i giorni bui, non solo le gioie. Non per nulla si dice “…in salute e malattia“: non è solo quella fisica, ma anche quella del Matrimonio.

Abbandonare quella promessa alla prima difficoltà equivale a dire che l’amore è solo emozione e non scelta; che la fedeltà è condizionata, e non eterna. Forse dovremmo rileggere quella frase con un’altra luce: “…meglio imparare ad aggiustare la stanza che correre a cercarne una nuova“.


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