La Tappa: L’indispensabilità del dono della Sapienza

Rubrica a cura di Corrado Gnerre


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C’è un dono che riesce a portare la Carità alla massima perfezione. E’ quello della Sapienza. Se, infatti, la Carità è la più grande delle virtù, la Sapienza è il più grande dei doni.[1]

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Quale definizione dare alla Sapienza? Prendiamo quella che ci offre Antonio Royo Marin nella sua famosa Teologia della perfezione cristiana: Il dono della sapienza è un abito soprannaturale inseparabile dalla carità, per cui giudichiamo rettamente di Dio e delle cose divine nelle loro ultime e altissime cause, sotto uno speciale istinto dello Spirito Santo che ce le fa gustare per una certa connaturalità e simpatia.[2]

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Come tutti i doni, la Sapienza è inseparabile dallo stato di Grazia ed è dunque incompatibile con il peccato mortale: La sapienza non entra in un’anima che opera il male né abita in un corpo schiavo del peccato.”[3]

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E’ per questo che ci sono molti intellettuali, cioè persone avvezze a leggere libri e libri, che sanno molte cose, ma che non riescono a cogliere la logica e la bellezza della Fede. Spesso ce ne stupiamo e pensiamo: è possibile mai che quell’uomo che sa tante cose, che ha un’intelligenza così spiccata, che possiede talenti intellettuali notevoli, non riesca a capire quanto sia bella la Verità Cattolica… La spiegazione sta proprio nel fatto che avere grande intelligenza non significa automaticamente possedere grande Sapienza.

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Ed è anche per questo che ci sono anche tanti conoscitori di Teologia  (molti sacerdoti e consacrati) che dicono enormi sciocchezze in tema di Fede, e che non riescono a capire come tante convinzioni che oggi vanno per la maggiore siano distruttive per la Fede stessa. Quante volte succede di sentire sacerdoti che di fatto negano le fondamentali verità della fede, pur continuando ad essere sacerdoti. Verrebbe da chiedersi: A che pro? Perché rimanere nella Chiesa se si nega la Chiesa?

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Ebbene, tutto questo può essere spiegato dalla perdita del dono della Sapienza, dono che –come abbiamo detto- ha bisogno dello stato di Grazia ed è incompatibile con il peccato mortale. San Tommaso d’Aquino (1225-274) scrive: “(…) la sapienza importa una certa rettitudine del giudizio secondo le ragioni divine. Ora la rettitudine del giudizio deriva o dal perfetto uso della ragione o da una certa connaturalità tra chi giudica e le cose che deve giudicare. E così vediamo che mediante la ragione discorsiva giudica rettamente delle cose che riguardano la castità colui che possiede la scienza morale; ma, per una certa connaturalità di questa virtù, giudica rettamente anche colui che pratica abitualmente la castità. Così pure giudicare rettamente delle cose divine mediante la ragione discorsiva appartiene alla sapienza, in quanto è una virtù intellettuale; ma giudicare rettamente delle cose divine per una certa connaturalità con esse, appartiene alla sapienza in quanto dono dello Spirito Santo (…).”[4]

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In cosa si distingue il dono della Sapienza? Mentre il dono dell’Intelletto è un intuire profondamente le verità della fede, ma sul piano della semplice conoscenza senza giudicare, il dono della Sapienza è la capacità di giudicare ciò che si conosce, un giudicare riguardo le cose divine. In realtà, anche il dono della Scienza e quello del Consiglio sono un giudicare, ma, per il primo, il giudizio riguarda le cose create, per il secondo, il giudizio riguarda le nostre azioni.

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Non dobbiamo però credere che questo dono si limiti a farci giudicare ciò che si conosce delle cose di Dio e di Dio stesso. No, la Sapienza è un giudicare che si apre al gustare le cose di Dio e soprattutto Dio stesso.

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Approfondiamo questo discorso perché è importante, soprattutto per chi si sente vicino a Il Cammino dei Tre Sentieri, che -lo ripetiamo ancora una volta- è nato per far conoscere la bellezza della Verità Cattolica.

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Quando si conosce veramente Dio non si può mai rimanere su un piano puramente conoscitivo. Dio non è un’ “idea”, bensì una persona e a contatto con la sua persona, deve scaturire l’amore. E’ questo il motivo per cui i Santi Dottori, studiando Dio, non solo hanno avvertito crescere il loro amore per il Signore, ma si sono sempre inebriati di dolcezza e di gusto. E, pertanto, non si sono mai capacitati di spiegarsi come mai da parte di molti non si capisca quanto sia bello “studiare” Dio e le sue cose.

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E’ risaputo che san Tommaso d’Aquino soleva studiare e scrivere dinanzi al Santissimo Sacramento. Molti dicono ch’era per prendere lumi, cioè per farsi ispirare dal Signore, per rendere più facile e più efficace il proprio studio. Sì era anche per questo, ma quasi sicuramente c’era anche dell’altro: per evitare che quello studio si riducesse a puro esercizio intellettuale e non fosse sostanziato dall’amore e dall’invocazione della presenza di Dio.

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La conoscenza teologica si basa fondamentalmente sulla deduzione, quella della Sapienza, invece, si basa fondamentalmente sull’intuizione.

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La Sapienza è come una sorta di “chiave” che apre immediatamente tutto. Senza che sia necessaria una previa preparazione.

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Quante volte succede d’incontrare delle anime semplicissime, che non hanno studiato teologia, eppure palesano una capacità di cogliere immediatamente il senso delle cose; non solo di dare dei consigli utilissimi sul piano spirituale, ma anche di comprendere saggiamente le verità della fede.

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Un caso celebre fu quello del beato (o san) Crispino da Viterbo (1668-1750) che prima di entrare in convento era un umile calzolaio. Entrò in Religione, non divenne sacerdote perché non aveva la possibilità di studiare, e rimase un semplice frate, ma aveva tanta di quella Sapienza che divenne un ricercato consigliere di preti, vescovi e perfino papi.

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Santa Faustina Kowalska (1905-1938) lo dice chiaramente: “Una parola di un’anima unita a Dio procura più bene alle anime che eloquenti dibattiti o prediche di un’anima imperfetta.”[5]

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E’ per questo che tutte le anime sante hanno sempre manifestato un’affezione alla Tradizione senza lasciarsi influenzare da mode teologiche inopportune… e, per i nostri tempi, la capacità di cogliere la tragedia della crisi della Fede e della Chiesa.

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La Sapienza è non solo capire Dio, ma anche ricondurre tutto a Dio.

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I medioevali concepivano il sapere come reductio ad unum, ovvero come capacità di studiare sì autonomamente i vari settori della realtà, ma nello stesso di tempo di “leggere” la realtà come qualcosa che rimandasse oltre, cioè alla sua ultima origine, quindi a Dio.

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Per loro tutto aveva una valenza simbolica. Ogni cosa che formava la quotidianità doveva ricondurre ad un senso che ne imponeva in un certo qual modo la scoperta. Si pensi a generi letterari come i bestiari, i floreari, gli erbari… Insomma, ogni cosa non esiste a caso, ma rimanda ad un significato che è oltre se stessa.

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Ebbene, tutto questo altro non era che la diffusione in un generale del dono della Sapienza. Un dono che è dato sì alle singole anime, ma che veniva richiamato anche da una cultura permeata della Verità Cattolica.

E’ seconda solo alla visione beatifica

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Il dono della Sapienza è secondo solo alla visione beatifica. Quindi è superiore a tutte le altre scienze. Ed ecco perché bisogna aspirare soprattutto a possedere questa piuttosto che altre conoscenze. Quest’ultime, se sono da coronamento alla Sapienza, vanno bene, altrimenti non solo possono essere inutili, ma anche fuorvianti. A che serve conoscere tante cose se poi non si conosce ciò che davvero conta, ciò che salva la propria vita?

Perfeziona la Carità

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La Sapienza perfeziona la Carità. Infatti è la conoscenza che muove l’amore; e se questo è più nobile della conoscenza, è pur vero che logicamente consegue ad essa: non si può amare ciò che non si conosce. Essendo la Sapienza non solo una semplice conoscenza, ma una conoscenza “gustosa” di Dio, allora anche la Carità aumenta permeandosi di questo gusto e di questo sapore.

Fa giudicare tutto alla luce di Dio

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Il dono della Sapienza fa giudicare tutto alla luce di Dio; e soprattutto secondo il criterio di Dio. Ovvero, l’anima che è piena di questo dono capisce ciò che davvero conta nella vita, che non c’è tanto da preoccuparsi del male fisico (malattie, sofferenze, disagi, povertà), quanto soprattutto del peccato, che è il male di tutti i mali.

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Anche relativamente a questo possiamo dire quanto sia poco “sapiente” la teologia dei nostri tempi, che è tutta orientata sull’immanente piuttosto che sul trascendente. Una teologia che fa dei malesseri della Terra le sue preoccupazioni (si pensi alla questione ambientale) e di fatto si disinteressa del destino eterno dell’uomo… e se non se ne disinteressa, non ne parla abbastanza.

Rende partecipe della vita trinitaria

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Il dono della Scienza eleva l’anima fino a Dio, il dono dell’Intelletto penetra i misteri di Dio nel loro intimo, il dono della Sapienza, invece, fa sì che il mistero di Dio avvolga tutto il reale, perché tutto vede in Dio e alla luce di Dio.

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Ecco perché il vero sapiente sa scorgere Dio dappertutto e “legge” ogni piccola cosa della natura come segno (simbolo) della presenza di Dio.

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Ed è per questo che il sapiente, anche se è preso da mille attività, non perde mai Dio, esige sempre rinnovare la presenza di Dio nella sua vita. Si servirà di continui momenti di preghiera o di velocissime giaculatorie o anche di frequenti comunioni spirituali.

“Deiforma” tutte le virtù

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Grazie al dono della Sapienza, tutte le virtù, pur rimanendo quelle che sono, si orientano verso Dio e si “formano” in Dio, nel senso di “prendere forma” in Dio stesso.

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La Sapienza, insomma, fa sì che si capisca l’esistenza di tutte le altre virtù e che se ne colga la ragione nell’amore a Dio.

Spinge all’eroismo

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L’anima sapiente è votata all’eroismo. In un certo qual modo le riesce facile. Un eroismo per Dio ed un eroismo per i fratelli.

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Per Dio, infatti, farebbe di tutto. Santa Teresa del Bambin Gesù arriva a scrivere questa esperienza: “Una sera, che non sapevo come fare a dire a Gesù quanto l’amassi, e quanto fosse intensa la mia brama di vederlo servito e glorificato, pensai con dolore che dagli abissi infernali non si sarebbe levato mai un solo atto di amore; allora esclamai che volentieri avrei accettato di vedermi immersa in quel luogo di bestemmie e di tormenti, perché Egli vi fosse eternamente amato. E’ vero che ciò non potrebbe glorificarlo, perché Egli non desidera che la nostra felicità; ma quando il cuore ama molto, prova il bisogno di dire mille pazzie.”[6]

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Ma anche per i fratelli l’anima sapiente farebbe di tutto. I santi arrivano a cose inaudite per aiutare chi è difficoltà. La loro carità non conosce soste e s’industria in mille modi pur di far sentire ai sofferenti l’amore di Cristo. Di esempi a riguardo se ne potrebbero fare tantissimi.

I tre frutti della Sapienza

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Stando a Antonio Royo Marin, il dono della Sapienza produce tre frutti dello Spirito Santo: la carità, il gaudio spirituale e la pace.[7]

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La carità, cioè l’amore a Dio e, attraverso Dio, ai fratelli.

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Il gaudio spirituale, cioè la letizia interiore. Essa permane anche nelle difficoltà più gravi, perché l’anima sapiente sa che tutto concorre a gloria di Dio e che Dio ha sempre sotto controllo ogni evento. L’anima sapiente sa, inoltre, che Dio non può mai provare l’anima al di sopra delle sue possibilità e che Egli dà sempre la Grazia necessaria e sufficiente per superare qualsiasi prova.

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La pace, ovvero la tranquillità dell’ordine. La Sapienza, cogliendo tutto il senso in Dio, “ordina” l’esistente, nel senso che ogni cosa, ogni evento, non si smarrisce nell’insensatezza, bensì acquista “significato” in Dio.

Vizi opposti alla Sapienza

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Un vizio che si oppone alla Sapienza è senz’altro la stoltezza, ovvero l’ignoranza spirituale; un’ignoranza che si unisce all’incapacità di intravedere la bellezza delle verità divine, cioè all’incapacità di gustare queste verità.

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Peggiore della stoltezza è la fatuità, che è un’incapacità totale a giudicare delle cose divine. A riguardo si possono ricordare le parole di San Paolo: “L’uomo animale non percepisce le cose dello spirito di Dio”[8] Ne abbiamo fatto cenno prima quando abbiamo detto che l’uomo che vive nel peccato non ha il dono della Sapienza. Le cause della stoltezza e della fatuità stanno nella lussuria e anche nell’ira, quest’ultima non di rado conseguente alla lussuria stessa o sua compagna.

Mezzi per ottenere la Sapienza

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I maestri di Teologia Spirituale ci dicono che i mezzi ordinari per ottenere la Sapienza sono: la vita di grazia, il raccoglimento, la preghiera, l’invocazione dello Spirito Santo, l’amore alla Madonna, Sede della Sapienza, l’umiltà, la temperanza…

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Ma ci sono anche mezzi straordinari.

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Il primo fra questi è sforzarsi di vedere tutte le cose dal punto di vista di Dio. Sostituire se stessi con Dio. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me.”[9] dice San Paolo. E’ il mettere Dio al primo posto. E’ l’addolorarsi delle offese a Dio, piuttosto che delle offese che vengono rivolte a se stessi. E’ l’addolorarsi che Dio non sia conosciuto e non sia amato. Questo significa sforzarsi di vedere tutte le cose dal punto di vista di Dio.

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Il secondo mezzo straordinario è combattere la sapienza del mondo, che è poi solo stoltezza per Dio. Il mondo reputa stolta la croce, ma è poi proprio lui ad essere stoltezza per Dio. San Paolo dice chiaramente: “Il mondo chiama sapienti coloro che dinanzi a Dio sono stolti.”[10] Facciamo un esempio: rinunciare a “godersi” la vita per amore della Legge di Dio. Ebbene, questo il mondo lo giudica una stoltezza, se non addirittura una follia. E invece Dio lo giudica una sapienza. Una sapienza che dà la possibilità di alimentare la Sapienza stessa.

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Il terzo mezzo è non affezionarsi alle cose comunque lecite di questo mondo. Cercare il consenso e le lodi degli altri può essere rischioso. E’ bene che a riguardo si faccia una buona penitenza. Alcuni santi s’impegnavano a non parlare mai bene di se stessi e, quando sentivano qualcuno che li lodava, cercavano di cambiare discorso o di troncare reindirizzando le lodi al Signore e alla Vergine.

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Il quarto mezzo è non affezionarsi alle consolazioni spirituali. I santi godono delle consolazioni, ma non entrano in crisi con le desolazioni. Anzi, sanno molto bene che il merito è soprattutto nelle prove e nelle croci.

La Sapienza si perde per castigo a causa della negligenza

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La perdita della Sapienza si configura anche come un castigo. Da ciò che abbiamo detto finora sui capisce facilmente. Leggiamo queste parole di monsignor Fulton John Sheeen (1895-1979): “Dio ci diede una mente per conoscerlo, una volontà per amarlo ed un corpo per servirlo. Se queste facoltà corporali e spirituali non sono esercitate elevandole nell’adorazione del Padre, dal quale proviene ogni bene, la natura si prende una terribile vendetta. Ci accade allora qualcosa di simile a ciò che si verifica agli animali inferiori, ossia la perdita della capacità di usare tali facoltà e di conseguire i fini per cui esse avrebbero dovuto essere impiegate. C’è un certo consenso a livello scientifico sul fatto che la talpa non è sempre stata cieca.”[11] Significativa immagine quella che ci offre monsignor Sheen: la talpa non è stata dall’inizio cieca, lo è diventata in conseguenza del suo vivere sottoterra. D’altronde è così. Quando ci si infortuna e occorre ingessare una gamba, dopo che si toglie l’ingessatura, i muscoli dell’arto non mostrano tonicità, occorre della fisioterapia affinché possano tornare a funzionare come prima. Lo stesso vale per le nostre doti intellettive: se non le facciamo volare verso Dio, finiranno con lo strisciare sulla terra.

L’Immacolata, “Sede della Sapienza”

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«Dio mi possedette qual principio delle sue azioni: prima delle sue opere; fin da allora fin dall’età più remota io (Maria) fui costituita dalle origini, dai primordi della terra. Quando non v’erano abissi io fui concepita… io ero accanto a Lui, quale architetto, ero tutta compiacenza dì per dì, ricreandomi in Sua presenza ogni momento ricreandomi nel globo terrestre e il mio compiacimento sta nei figli dell’uomo.» (Proverbi 8,22)

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Uno dei titoli con cui s’invoca la Vergine è “Sede della Sapienza”. Vediamo di capire perché.

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Soffermiamoci sulla parola “sede”. Essa deriva dal latino “sedes”, che significa “seggio”, ovvero “residenza”. L’Immacolata è la “sede” della Sapienza. Questo significa che Ella non solo è la creatura più sapiente che esiste nell’universo, ma è colei che è stata scelta per far dimorare la Sapienza. Meglio: è colei in cui la Sapienza trova la sua più connaturale dimora.

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Un primo motivo di questo è la generazione di Gesù, che è perfetto uomo, ma anche perfetto Dio. Gesù è stato generato da Maria. Ella ha portato in sé, nel suo grembo, Dio stesso (ovvero la Sapienza per eccellenza) per ben nove mesi. Dunque se vogliamo che in noi si generi la Sapienza, dobbiamo andare dall’Immacolata.

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Un secondo motivo è che la Vergine ha nutrito questa Sapienza. Nel grembo, le ha dato il sangue e l’ossigeno. E quando la Sapienza incarnata (Gesù) nacque, le donò il suo latte. E quando la Sapienza incarnata dimorò nella casa di Nazareth, Ella le preparò il cibo. Dunque se noi vogliamo che il dono della Sapienza fruttifichi, cresca e si alimenti, dobbiamo andare dall’Immacolata e farci nutrire da Lei.

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La Madonna è dunque “Sede della Sapienza” non in senso onorifico, bensì sostanziale, cioè realmente. San Giovanni Damasceno (670-749) dice che Maria è “Tesoro di Sapienza.”

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Nell’antica Costantinopoli (oggi Instanbul) vi è la celebre basilica di Santa Sofia, cioè dedicata alla Santa Sapienza. Ebbene, nel mosaico dell’abside c’è un’immagine che dice tutto. La Vergine è su un trono che somiglia molto ad una cattedra. Lo impone il suo essere Madre della Sapienza. Ma ciò che ancora più significativo è la posizione di Gesù. Egli è seduto sulle ginocchia della Madre e da quella posizione sembra anch’Egli insegnare. E’ Dio che “siede” sulla Vergine. Colui che è la Sapienza per eccellenza “siede”, cioè trova sua “sede”, sulla Madre che l’ha generato, sostenuto, nutrito e accompagnato.


[1] A.Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, 262

[2] A.Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, 263.

[3] Sapienza 1,4.

[4] Cit. in A.Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, n.263.

[5] Santa Faustina Kowalska, Diario, 1595.

[6] Teresa di Lieseux, Storia di un’anima, 5, 196.

[7] A.Royo Marin, Teologia della perfezione spirituale, 266.

[8] 1 Corinti 2,14.

[9] Galati 2,20.

[10] 1 Corinti 1,25.

[11] Fulton J.Sheen, La punizione per negligenza, in “Il Settimanale di Padre Pio”, anno XIV, n.27, 5.7.2015.


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