di Corrado Gnerre
In questi giorni, dopo la recente visita del presidente ucraino Zelensky, si è rinfocolato sui giornali e nei talk-show un serrato dibattito, se si debba armare o non armare la cosiddetta “resistenza” ucraina.
Un dibattito che sottende un’altra questione più o meno esplicita e cioè se è opportuno o meno lottare, sacrificarsi, rischiare la vita per la patria e per la libertà della patria.
Indubbiamente, se il dibattito s’incentrasse solo su questo argomento, non ci dovrebbe essere alcun dubbio a schierarsi. E’ evidente, e sarebbe squallido il contrario, che l’uomo è fatto per volare alto, che ci sono cose talmente importanti per la vita per le quali vale la pena morire. La patria non è un concetto, ma un tesoro di fatti e di sacrifici. La patria è la terra dei padri, è ciò che coinvolge e che anima il proprio vivere. La patria è il dono che la Provvidenza ha fatto ad ognuno di noi, affinché non fossimo isole sperdute, senza tempo, senza identità, senza anima. Ciò è talmente importante che sarebbe vile tirarsi indietro e pensare a salvare la propria ombra… perché, se l’uomo non è disposto a morire per l’ideale, si riduce ad ombra di se stesso.
La questione però è un’altra. E cioè che nel dibattito di cui sopra il principio di sacrificarsi per la propria patria ne sottende un altro, che mi sembra molto più chiaro tra le righe degli articoli e tra le chiacchiere dei talk show televisivi. Ovvero se bisogna o meno sacrificarsi in nome dei valori dell’Occidente. Attenzione però: non dell’Occidente con la O maiuscola, ma dell’occidente con la o minuscola. Non dell’Occidente delle Cattedrali e della lex naturalis, ma l’occidente nichilista e dissolutorio dei nostri giorni. Non è un caso che molti stanno sottolineando l’importanza del rispetto dei cosiddetti diritti civili come tratto che contraddistinguerebbe i due poli che calamitano il conflitto. Da una parte la negazione di questi diritti civili, dall’altra la loro promozione ed esaltazione.
E’ del tutto evidente che il conflitto, ridotto in tal modo, impone realisticamente altre riflessioni e soprattutto altre conclusioni.
Prima di tutto va messo in evidenza una contraddizione in sé ma che non deve affatto sorprendere. E cioè che chi vuole che l’occidente dissolutorio e nichilista lotti strenuamente per i suoi valori non si accorge che proprio questa lotta non ha senso, se è vero come è vero che nessun valore può trovare legittimo fondamento all’interno di un clima, appunto di dissoluzione, dove nulla deve permanere, dove non è più riconosciuta una natura umana, oggettiva e universale. Dove tutto è irrimediabilmente fluido. Dove ogni categoria di giudizio può trovare spazio solo nel frammento del tempo, se non dell’attimo. Morire per il nulla non ha senso. Si muore per la vita non per la morte. Si muore per conservare non per distruggere. Si muore per ricordare non per dimenticare.
Ma -dicevamo- ciò non deve sorprendere perché ogni cosa che è illogico cerca sempre di trovare una sua logica e di reggersi su una logica. Chi vuole negare il principio di non contraddizione deve comunque ammetterlo per poterlo negare. E così anche la dissoluzione e la tolleranza si fanno costruzione e imposizione. Il liberalismo libertario mai come oggi mostra tutta la sua essenza autoritaria e intollerante. Lo fa con l’imposizione del politically correct, lo fa con la pretesa che il proprio modo di leggere il mondo debba essere riconosciuto da tutti e chi a questo oppone rifiuto non solo sarebbe un perdente, ma anche un pericolo per il progresso e per le generazioni future. Come l’acqua scorre dove c’è pendenza, così la dissoluzione cerca di riempire i vuoti che essa stessa genera.
Certo, c’è sempre un argomento vero, che è quello che ci dice che quando, nei primi secoli dell’era cristiana, si fu sotto l’attacco delle orde barbariche, i cristiani decisero di mettersi dalla parte della romanità per difendere ciò che rimaneva di essa. Argomento che non fa una grinza, ma che riconduce ad una situazione molto diversa dall’attuale. In quel caso la decadenza della romanità non era strutturale né culturale (basterebbe leggere cosa dicevano voci autorevoli del tempo) quanto si trattava di una decadenza sovrastrutturale. L’occidente è invece decadente strutturalmente. La postmodernità non si limita a patire la dissoluzione, la teorizza, la difende, pretende che ci si sacrifichi per essa, la invoca come patologica e gnostica inclinazione all’autodistruzione. Quella che si è soliti definire Quarta Rivoluzione, cioè la rivoluzione che tocca la natura stessa dell’uomo, è l’esito di speculazioni teoriche che l’attuale occidente ha partorito e consapevolmente riconosce come sua propria, strutturale, identità.
Il famoso libro di Francis Fukuyama, La fine della storia, non prevedeva che, dopo il 1989, essendo risultato vincente il sistema liberalcapitalista, il futuro non avrebbe più riservato conflitti. Sarebbe semplicistico interpretare la tesi di Fukuyama in questo modo. Prevedeva piuttosto una cosa che è difficile contestare, ovvero che l’assenza della ragione teorica del conflitto, avrebbe decretato la “fine della storia” in quanto si sarebbe imposto indiscutibilmente un solo modello. Cosa che avverrebbe a maggior ragione in questa situazione, se nel conflitto trionfasse il modello dell’attuale occidente (sottolineo: attuale occidente). Una eventuale vittoria non figurerebbe come la sconfitta dell’autocrazia più o meno antipatica di Tizio, Caio e Sempronio, o dello statalismo di quel determinato regime, quanto la conferma che l’avvenire apparterrà sempre più al dominio incontrastato di determinati “valori” dissolutori.
E allora che ci resta da fare? Sperare che non vinca nessuno. Sperare piuttosto che dalle ceneri di questo scontro (di cui mendichiamo alla Provvidenza la grazia che non sia cruento) torni a trionfare il Vero, la Regalità Sociale di Cristo e il Cuore Immacolato della Sua Santissima Madre.
A noi resta il conforto che il trionfo di tale Bellezza ci permetta di conservare sempre la pace e la letizia del cuore, anche se -Dio non voglia- il futuro ci riserverà prove assai dure.
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri

Grazie, professore.